COME DEFINIRE IL RISORGIMENTO?

ALBERTO MARIA BANTI presenta


"I governanti italiani, fra il 1860 e il 1870, si trovavano alle prese con formidabili difficoltà. (Quello che s'impose era allora)  il solo ordinamento politico e amministrativo, con cui potesse essere soddisfatto in Italia il bisogno di indipendenza e di coesione nazionale... fu compiuta un'opera ciclopica. Fu fatto di sette eserciti un esercito solo...Furono tracciate le prime linee della rete ferroviaria nazionale. Fu creato un sistema spietato di imposte per sostenere spese pubbliche crescenti e per pagare l'interesse dei debiti....Furono rinnovati da cima a fondo i rapporti tra lo Stato e la Chiesa".

Gaetano Salvemini, storico e politico italiano



(...) E oggi dell'unificazione celebriamo l'anniversario vedendo l'attenzione pubblica rivolta a verificare le condizioni alle quali un'evoluzione in senso federalistico - e non solo nel campo finanziario - potrà garantire maggiore autonomia e responsabilità alle istituzioni regionali e locali rinnovando e rafforzando le basi dell'unità nazionale. E' tale rafforzamento, e non il suo contrario, l'autentico fine da perseguire.

D'altronde, nella nostra storia e nella nostra visione, la parola unità si sposa con altre : pluralità, diversità, solidarietà, sussidiarietà.
In quanto ai problemi e alle debolezze di ordine strutturale, sociale e civile cui ho poc'anzi fatto cenno e che abbiamo ereditato tra le incompiutezze dell'unificazione perpetuatesi fino ai nostri giorni, è il divario tra Nord e Sud, è la condizione del Mezzogiorno che si colloca al centro delle nostre preoccupazioni e responsabilità nazionali. Ed è rispetto a questa questione che più tardano a venire risposte adeguate. Pesa certamente l'esperienza dei tentativi e degli sforzi portati avanti a più riprese nei decenni dell'Italia repubblicana e rimasti non senza frutti ma senza risultati risolutivi ; pesa altresì l'oscurarsi della consapevolezza delle potenzialità che il Mezzogiorno offre per un nuovo sviluppo complessivo del paese e che sarebbe fatale per tutti non saper valorizzare.
Proprio guardando a questa cruciale questione, vale il richiamo a fare del Centocinquantenario dell'Unità d'Italia l'occasione per una profonda riflessione critica, per quello che ho chiamato "un esame di coscienza collettivo". Un esame cui in nessuna parte del paese ci si può sottrarre, e a cui è essenziale il contributo di una severa riflessione sui propri comportamenti da parte delle classi dirigenti e dei cittadini dello stesso Mezzogiorno(...)

Giorgio Napolitano, dal discorso a Montecitorio del 17 marzo 2011






Se per storia politica si potesse parlare di capolavori come di opere d’arte, il processo della indipendenza, libertà e unità d’Italia meriterebbe di essere detto il capolavoro dei movimenti liberal-nazionali del secolo decimo nono: tanto ammirevole si vide in esso la contemperanza dei vari elementi, il rispetto all’antico e l’innovare profondo, la prudenza sagace degli uomini di stato e l’impeto dei rivoluzionari e dei volontari, l’ardimento e la moderazione; tanto flessibile e coerente la logicità onde si svolse e pervenne al suo fine



Benedetto Croce, Storia d’Europa



Le grandi crisi aprono inaspettati spiragli sulla storia degli uomini e delle idee(...) Anche la storia del pensiero del nostro Risorgimento, che abbiamo amato raffifurarci come storia di uomini immuni e di costruzioni solidissime, oggi, nella crisi, si spoglia di tutte le sue decorazioni pompose, e si offre a più profondi scandagli, e quindi a nuove, più spregiudicate valutazioni. ma se uomini e istituzioni vi sono che a questa spietata distruzione resistono per una interiore vitalità del loro pensiero o della loro struttura, di essi non possiamo non tener conto per l'opera ricostruttiva, ad essi dobbiamo gettare l'arco di quel ponte che ci consenta di riunirci al passato, per ritrovare la forza e il conforto di una tradizione, senza la quale ogni avanzamento è un passo nel buio, ogni dottrina corre pericolo di risolversi in un vaneggiamento.



Norberto Bobbio, in Stati Uniti d'Italia



Il Risorgimento, come lo fu la rivoluzione francese, è stata opera di giovani e a loro si deve se l'Italia, dopo secoli di servitù, di speranze inutili, di indifferenza e di disillusioni, ha cominciato a non aver paura della libertà

(....) Una voce incantata che ricrei l'atmosfera di quegli anni dell'Ottocento dove pare che il risorgimento dell'Italia sia avvolto nel pieno sole delle armi, delle barricate, delle rivolte, dei gesti eroici, mentre ha avuto anche i suoi notturni, le pieghe nascoste, i segreti dei sentimenti politici, le penombre e i misteri delle idee e dei pensieri irriverenti e rivoluzionari. (...) Uno spirito unitario che nulla ha a che fare con i nazionalismi e torna ciclicamente a dare impulso alla nostra storia



Lucio Villari, Bella e perduta. L'Italia del Risorgimento



Lavorando alla sceneggiatura del film e studiando il materiale risorgimentale ho scoperto che noi abbiamo un’immagine molto superficiale di quella stagione. Innanzitutto ho scoperto che molti dei protagonisti erano ragazzi. Ma soprattutto ho scoperto che siamo vittime di una retorica politica che ci fa vivere il Risorgimento come una sorta di grande imbroglio protratto ai danni degli italiani. Al contrario, le spinte unitarie erano fortissime e si sentiva che c’era un ordine vecchio, ammuffito, quello rappresentato dai sovrani dei piccoli e grandi Stati. Ad esempio non era assolutamente vero che i Borboni fossero una dinastia illuminata, che il Sud vivesse un momento di prosperità sotto di loro: basti pensare che l’intera proprietà terriera era in mano a solo quindici famiglie, quindi si viveva in un contesto di oppressione contro la quale si voleva combattere.

Occorre ricominciare a raccontare gli avvenimenti, che finora sono rimasti patrimonio esclusivo degli storici, così come sono andati e divulgarli per renderli patrimonio comune.



Giancarlo De Cataldo, sceneggiatore del film Noi credevamo di Mario Martone


(Il Risorgimento) è un movimento ampio, ricco, complesso, contraddittorio (....) ancora oggi straordinariamente affacinante e degno di essere attentamente studiato, piuttosto che acriticamente giudicato, enfaticamente esaltato o liquidato senza appello


Alberto Mario Banti, Nel nome dell'Italia



Liberato dalle tante retoriche che lo avevano accompagnato per decenni, il Risorgimento è diventato infine oggetto di indagini articolate volte non solo a cogliere il fatto militare e politico, ma a evidenziare i caratteri, i problemi, le grandi questioni di fondo della società italiana dell’Ottocento. Sono fioriti studi sul ruolo degli intellettuali e sulla formazione dell’ opinione pubblica, sulla scuola, sulle condizioni di vita delle classi popolari. E ancora medicina, igiene, demografia costituiscono settori su cui si sono avvertiti i mutamenti di interessi storiografici e metodologici; per non trascurare gli studi di storia costituzionale e amministrativa, quelli sull’emigrazione politica e, infine, quelli che ripropongono, sotto una luce interpretativa nuova, vecchie questioni come quelle del ruolo del Piemonte nei confronti del processo di unificazione. Anche il rapporto tra l’Italia e l’Europa è ora considerato non più esclusivamente in una prospettiva politica o ideologica, ma in quella dei rapporti tra il processo di formazione dell’unità italiana e le grandi trasformazioni in atto nel continente europeo. Il Risorgimento appare così come il processo specifico assunto in Italia dalla rivoluzione borghese, propria delle grandi potenze europee, quali Francia e Inghilterra, pur conservando una serie di caratteristiche originali, primo fra tutti la specificità nazionale.



Fiorenza Tarozzi, studiosa della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea



Giacché il problema dell’Italia non è quando sia stata fatta o la datazione di una coscienza nazionale che ha preceduto di secoli l’azzardo sabaudo: ma quale coscienza della propria storia ha chi la sta effettivamente facendo.


Alberto Melloni, Università di Modena e Reggio Emilia