lunedì 27 gennaio 2014

sulla necessità della memoria


 post di Irene Franco
 

Eric J. Hobsbawm, nella prefazione al suo saggio "Il secolo breve", scrive:
«Per il poeta Thomas Stearns Elliot "il mondo finisce in questo modo: non con il
rumore di un'esplosione, ma con un fastidioso piagnisteo". Il Secolo breve è finito in
tutti e due i modi. »
In questo saggio, lo storico britannico Eric Hobsbawm conduce un'approfondita
analisi delle vicende storiche del XX sec., che rinomina "Secolo breve". Il
Novecento fu, difatti, un secolo denso di grandi avvenimenti: guerre, rivoluzioni,
persecuzioni, movimenti di emancipazione femminile, nascita dei sindacati a
tutela dei diritti dei lavoratori. Accanto alla crescita culturare, ai progressi in
campo tecnico-scientifico si collocano eventi tragici, dopo i quali, si dice,
con un'espressione ormai cristallizzata, il mondo non fu più lo stesso.

La violenza, una violenza persecutrice, folle, ma fondata al contempo su un
lucido progetto, fu la direttrice su cui si mossero gli anni peggiori di questo secolo,
che tutto il mondo ricorda tristemente: gli anni Trenta e Quaranta del Novecento.
Questi anni non segnano la nascita dell'antisemitismo, che ha origini religiose molto
più antiche, ma un tipo più specifico di antisemitismo, di tipo razziale, che sprigiona
tutti i suoi caratteri nella parola tedesca 'Judenhass', 'odio per gli ebrei'. Se una sola
parola riesce a evocare tanto odio, a raccontare per intero un capitolo così crudo e nero
della storia dell'Umanità, vale la pena di riflettere su quanto e come un concetto
primordiale come il Male sia stato presente in questa porzione di secolo.

Hannah Arendt (1906-1975), una grande filosofa e teorica della politica, tedesca di
origini ebraiche e quindi vittima in prima persona della furia nazista, presentò un concetto
interessante: la banalità del male. Secondo la Arendt, un nucleo di malvagità fu
ovviamente presente nelle vicende storiche qui trattate. Tuttavia, esso non è semplice-
mente relativo ad una follia individuale e collettiva di quel determinato periodo storico
e nemmeno caratterizza l'umanità intera come irrimediabilmente malvagia. E', piuttosto,
il frutto di quella che la filosofa definì la "terrificante normalità umana". Nel suo libro
"La banalità del male", che scrisse nel 1963, in occasione del processo contro il
criminale nazista Eichmann, Hannah Arendt rifiuta il concetto di male radicale,
sostenendo quello di male banale. Il male, cioè, muove da cause banali, infondate,
gratuite, ma la sua esistenza non prova affatto la presenza di un qualche elemento
malvagio irrimediabilmente insito e fisso nella natura umana.

Ho voluto citare la teoria di Hannah Arendt per la sua profondità e originalità.
Tuttavia, ciò che apprezzo e ammiro maggiormente del pensiero di questa donna è
l'ottimismo di fondo che lo caratterizza, nonostante esso venga alla luce soltanto alla
fine, quando Hannah non condanna l'umanità intera e le accorda, anzi, piena fiducia.
Quella stessa umanità di cui, comunque, furono privi i suoi
persecutori.

domenica 26 gennaio 2014

Per non dimenticare: la strage di Marzabotto




Fin dal mese di agosto del 1944, dopo la liberazione di Firenze, l'esercito alleato e l'esercito nazista si fronteggiano sulla linea gotica (da Massa e Carrara, sopra Livorno, fino a Pesaro sull’Adriatico).
L'area di Monte Sole (Bologna),  con gli attuali comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana, costituisce l'immediata retroguardia difensiva dell'esercito nazista. In questa area si è costituita fin dall'ottobre 1943 una brigata partigiana, la "Stella Rossa", fondata da elementi locali e composta da persone di differente matrici politiche e culturali.

Dopo il massacro di civili compiuto a Sant'Anna di Stazzema (400 civili uccisi nelle loro case e nel villaggio) compiuto dalle SS il 12 agosto 1944 (successivo a sua volta all’eccidio delle Fosse Ardeatine con 335 vittime il 24 marzo 1944), gli eccidi nazifascisti ai danni delle popolazioni lungo la linea gotica hanno un momentaneo arresto. Il maresciallo Albert Kesserling, comandante della cosiddetta "campagna d'Italia" contro gli alleati, continua però, anche nei mesi successivi, ad avere l'incubo di quei ribelli italiani che, saliti in montagna dapprima con mezzi di fortuna, stanno di fatto tenendo in scacco il grande esercito tedesco all'interno dei confini della Repubblica di Salò: comanda alle truppe di lasciare "terra bruciata" alle proprie spalle e, quando viene informato che a Marzabotto e nei comuni limitrofi la divisione partigiana Stella Rossa continua a mietere vittime e ad operare sabotaggi, ordina la rappresaglia.

L’interesse dei tedeschi per l’altopiano di Monte Sole cresce in proporzione all’avanzata degli Alleati. Fino all’agosto (ovvero sostanzialmente fino alla liberazione di Firenze) il nemico si trova ancora in una zona relativamente lontana, ma dopo lo sfondamento delle difese lungo l’Appennino tosco-emiliano, nell’agosto-settembre 1944, l’area di Monte Sole è  l’ultimo ostacolo naturale prima di Bologna e la prospettiva peggiore per i tedeschi è di rimanere imprigionati in un duplice attacco partigiano e alleato. In questo mutato contesto strategico, per preparare la difesa e un’eventuale ritirata, i tedeschi hanno bisogno di eliminare qualsiasi ostacolo all’esercizio della loro autorità. La soluzione più drastica e brutale viene adottata: spazzare via da Monte Sole ogni forma di resistenza, eliminare definitivamente le condizioni per la sopravvivenza della Stella Rossa facendo tabula rasa di uomini e cose.

L’operazione contro la Stella Rossa, brigata partigiana,  di cui è responsabile il maggiore delle SS Walter Reder, scatta all’alba del 29 settembre 1944. Nella frazione di Casaglia di Monte Sole, la popolazione atterrita si rifugiò nella chiesa di Santa Maria Assunta, raccogliendosi in preghiera. Irruppero i tedeschi, uccidendo con una raffica di mitragliatrice il sacerdote, don Ubaldo Marchioni, e tre anziani. Le altre persone, raccolte nel cimitero, furono mitragliate: 195 vittime, di 28 famiglie diverse tra le quali 50 bambini. Fu l’inizio della strage. I reparti delle SS e della Wehrmacht, danno inizio ad un violento rastrellamento accompagnato da eccidi, razzie e incendi. I tedeschi impiegano almeno 1500 uomini armati di mitra, mortai, lanciafiamme, cannoni; i partigiani in quel momento sono circa 500 e dispongono di un equipaggiamento del tutto inferiore a quello tedesco, da tempo non ricevono più aiuti dagli Alleati e non dispongono di armi pesanti.

La Stella Rossa, accerchiata, tenta di respingere il nemico con cui si scontra a Cadotto, ai piedi di Monte Sole e Monte Caprara, su Monte Salvaro e in altre località, ma la differenza fra le forze in campo è tale che lo scontro è insostenibile. Nei vari assalti perdono la vita numerosi partigiani fra cui lo stesso comandante Mario Musolesi, 29 anni. La morte di Musolesi, la violenza con cui i tedeschi si scagliano contro tutto e contro tutti, la sproporzione di mezzi, determinano lo sbandamento della Stella Rossa e il suo successivo scioglimento: gruppi di partigiani passano il fronte e si uniscono agli Alleati oppure raggiungono altre formazioni partigiane; non mancano definitivi abbandoni della lotta armata. Anche i civili vengono colti di sorpresa. Alle prime avvisaglie del rastrellamento gli uomini abili si rifugiano nei boschi, per non correre il rischio di essere uccisi o catturati per i lavori forzati. Gli altri abitanti di Monte Sole che nutrono l’errata speranza che contro donne, vecchi e bambini i tedeschi non infieriranno, si raccolgono invece nei luoghi apparentemente più sicuri: le chiese, i rifugi antiaerei, le stesse abitazioni. Il rastrellamento si rivela di una brutalità che va oltre ogni aspettativa: fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 vengono massacrate 770 persone, nei modi più violenti e brutali, nelle case, nei luoghi di culto, nei rifugi, in decine e decine di località. Diverse testimonianze raccontano della presenza di fascisti insieme ai tedeschi. Le uccisioni continuano anche dopo quei giorni infernali e alla fine della guerra i comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana contano 955 uccisi per mano dei nazifascisti. Di questi 216 sono i bambini, 316 le donne, 142 gli anziani, cinque i sacerdoti. A questo tragico bilancio di morte vanno sommati anche i caduti per cause varie di guerra, 721 nei tre comuni. Sono uomini, donne e fanciulli morti nei bombardamenti, al fronte, nei campi di prigionia, per malattie legate allo stato di guerra e per lo scoppio di mine che continuano a seminare morte persino dopo la cessazione del conflitto. Infatti prima di andarsene il maggiore Reder fece disseminare il territorio di mine che continuarono a uccidere fino al 1966 altre 55 persone

Al termine della rappresaglia si contano, in tutta la zona del Monte Sole, circa 1830 morti, mentre pochissimi sono i sopravvissuti, che sono riusciti a nascondersi, o che sono rimasti per giorni sepolti sotto i corpi dei propri vicini, dei propri familiari.
Tra i caduti, 95 hanno meno di 16 anni, 110 ne hanno meno di 10, e 45 meno di due anni; la vittima più giovane si chiama Walter Cardi, e aveva appena due settimane.
Al termine della guerra il maggiore Reder fuggirà in Baviera, dove verrà catturato dagli americani: sarà estradato in Italia e, nel 1951, verrà condannato all'ergastolo. Nel 1985 verrà graziato, grazie all'intercessione del governo austriaco, e si trasferirà in Austria, dove morirà senza aver mai mostrato alcun segno di rimorso.

Rimarrà comunque in ombra, in sede processuale, il ruolo di decine e decine di ufficiali e soldati delle SS, i veri e propri esecutori della strage, seppur l'identità di una parte dei responsabili sarà nota alla magistratura, che spesso deciderà di non dar seguito all'azione penale per motivi di opportunità politica internazionale.
Nel 1961 verrà edificato un sacrario, che raccoglie i corpi di 782 delle vittime della strage.



 dal film 

L'UOMO CHE VERRA'
di Giorgio Diritti, 2010



IL FILM L'UOMO CHE VERRA' SARA' PROIETTATO A GIARRE IL 27 GENNAIO
GIORNATA DELLA MEMORIA

PRESSO IL CINECIRCOLO DELL'ASSOCIAZIONE L'AGORA'

VIA CAROLINA 192

ORE 18,00

INGRESSO LIBERO PER GLI STUDENTI 


approfondimenti sulle persecuzioni naziste nel sito

ANED

sabato 18 gennaio 2014

due costituzioni a confronto


Con la Costituzione del 1787 nascono gli Stati Uniti d'America.
Il testo viene considerato il primo successo degli ideali illuministici e certamente ispirò anche le carte costituzionali successive dei paesi europei.
Proviamo a confrontare la Costituzione Statunitense e quelle Italiana, ben più tardiva (1948) in merito alla separazione dei poteri, alle funzioni del Congresso e del Parlamento, al ruolo e potere del Presidente della Repubblica.

Un confronto senz'altro utile a capire meglio l'odierna dialettica politica, economica e diplomatica internazionale.






Vi racconto la mia storia





Sami e gli studenti del Liceo Leonardo al Centro Astalli di Catania






Mi chiamo Sami, ho ventitré anni. 
Quattro di questi li ho vissuti in carcere. Spaccio, questa era l’accusa. Ma io in vita mia non ho mai spacciato niente. L’unico errore che ho commesso è stato portare un po’ troppo fumo addosso. Mi hanno condannato a sei anni di reclusione, io non ne avevo nemmeno diciassette, ero un ragazzino "normale" che va incontro a conseguenze troppo gravi  rispetto ad un’azione commessa. “Normale”, almeno così mi consideravo.
E’ una storia particolare la mia, sono quello che si può definire un “incrocio”. I miei genitori sono in Italia da trent’anni. Mia madre viene dall’Eritrea, faceva parte di un movimento di resistenza alla dittatura, aveva solo quattordici anni quando è scappata per rivendicare la sua libertà. Mio padre è etiope. Figlio del male, mi definiscono. Nato dall’unione di due paesi per anni in guerra tra di loro. Nel migliore dei casi, sono considerato semplicemente uno dei tanti “marocchini” che si incontrano in giro per Catania. Ho un fratello ed una sorella, la mia famiglia è splendida e non mi fa mancare nulla. Grazie a loro sono riuscito ad ottenere una modifica della pena e sono stato affidato in prova ai servizi sociali, da allora collaboro con il Centro Astalli. Da quando sono qui sono entrato a contatto con realtà atroci, ho guardato negli occhi ragazzi appena ventenni e ci ho trovato il vuoto, la distruzione che procura una vita senza speranze, senza aspettative.  Ragazzi profondamente innamorati della propria terra, costretti a scappare per amore della  vita, se così si può definire. Sono i cosiddetti “migranti per costrizione”. C’è un’enorme parte di Africa martoriata da guerre continue, laghi di sangue che non attirano l’attenzione solo perché le terre sono talmente povere da non consentire un business, veri e propri inferni in terra. Dittature sanguinose che reprimono le popolazioni con la più totale violenza, trattando gli esseri umani come fossero nulla. Queste sono le storie che mi raccontano qui, che ritrovo nei gesti schivi e negli occhi spaventati. Nelle menti segnate per sempre da dolori inimmaginabili. Qui facciamo il meglio che possiamo, diamo vitto e alloggio, alfabetizziamo ed aiutiamo i migranti ad avanzare le richieste per il loro asilo politico. Non è una cosa facile, affatto. Il più delle volte inserire in una comunità un immigrato è quasi impossibile. “Tornatevene al vostro paese”, ecco il pensiero cardine. E io sono sicuro che gran parte di queste persone ci sarebbero rimaste pure al loro paese, se avesse consentito loro di condurre una vita dignitosa. Perché non vai tu?, si potrebbe rispondere. Perché non provi sulla tua pelle le atrocità con cui bisogna, se si riesce, convivere? Non dureresti un giorno. Eppure sempre tutti lì, tutti pronti a puntare il dito e giudicare, perché in Italia si sta male e noi rubiamo il lavoro. Noi. Noi che ci basterebbe un pasto al giorno e la speranza per stare bene. Ma cibo al nostro paese ce n’è poco, e speranza ancora meno. 

Io sono nato qui, mi sento italiano tanto quanto qualsiasi altro cittadino, ma nel corso della mia vita mi sono reso conto di come esistano due tipi di razzismo. Uno è quello per ignoranza, per ingenuità. Sono stato spesso chiamato “marocchino”, ma mi è bastato spiegare per vedere sparire dal volto di chi mi aveva chiamato così qualsiasi traccia di riserva nei miei confronti. Poi c’è il razzismo per scelta. Il più aberrante, il più perverso. Vedo ogni giorno gente che mi guarda con diffidenza e parla dietro le mani, che punta il dito e mi odia per il colore della mia pelle. Ma perché odiarmi? Mi odi per la mia povertà? Ah no, giusto. Mi odi perché noi immigrati siamo sempre delinquenti, rubiamo e uccidiamo, non è così? E’ per questo che vengo odiato, perché l’ignoranza arrogante delle persone  porta a fare di tutta l’erba un fascio. Ma ho imparato a non curarmene, me l’ha insegnato mamma. Lei non riesce quasi a guardare la televisione, ogni volta che sente parlare di barconi carichi di eritrei che arrivano qui, quasi piange. Quando è partita dal nostro paese, faceva parte di un gruppo di ribelli formato da 180 persone, adesso ne sono sopravvissute solamente 18. E’ una sconfitta per lei sapere di aver lasciato per sempre la sua terra senza essere riuscita a cambiare le cose come avrebbe voluto. Però la speranza e la forza gliele leggo negli occhi, è una donna fortissima mia madre. La vedo forte ogni volta che ferma qualcuno come noi, un immigrato, per strada e parla con lui come se fosse suo fratello, il suo migliore amico. Chiede il nome, com’è arrivato qui e da dove viene. Poi sorride a tutti. Perché lei le conosce le loro storie, in fondo sono tutte simili alle sue. Sa cosa si prova a partire senza nulla addosso, a scappare via da un paese che ti schiaccia, che ti fa desiderare di morire la mattina appena apri gli occhi. 

La gente pensa che lottare per quello in cui si crede sia inutile, tanto poi non cambia niente. Io non la vedo così. io credo che se bisogna aspettare che siano gli altri a fare qualcosa, potremo morire nell’attesa. Credo che bisogna guardare a se stessi, partire da se stessi. Una cosa che ho imparato da quando frequento il centro è che un giorno di volontariato a me non costa nulla, non faccio nulla di assurdo o esageratamente pesante, ma mi fa andare a letto con la sensazione di essere stato utile, di servire a qualcosa. Mi fa andare a letto con il sorriso e la voglia di rifarlo ancora. 

Fa nascere in me una speranza, una speranza che ritrovo nei sorrisi dei volontari che lavorano con me, una speranza che cerchiamo tutti di trasmettere giorno per giorno a chi ormai non ne ha più.

ricostruzione a cura di Maria Pia Astuto
classe 4 H