lunedì 30 luglio 2012

L'INTERESSE GENERALE PRIMA DI TUTTO

Continuiamo a riflettere sulle dinamiche e le condizioni di una reale attuazione democratica spostando l'attenzione su ciò che è fondamentale e primario in ogni politica che voglia ottenere appoggio dalla popolazione e dalla società civile: l'interesse generale. Nulla può infatti sostituirsi ad esso nella comunità rivolta alla produzione, alla distribuzione e gestione dei beni secondo una giustizia sociale, tanto è vero che, per assenza di tale spirito,  il resto viene definito "privato".



Lo storico Massimo Salvadori ci accompagna in questa riflessione con una puntuale analisi sul tema calata nella realtà italiana a noi, ahimè, ben nota. Partendo dall'indicazione humiana (compito delle leggi è di fare «in modo che gli interessi privati si sottopongano agli interessi pubblici» e che «l' interesse comune e l' utilità producono infallibilmente un criterio per distinguere il giusto e l' ingiusto fra le parti interessate») che tanto ha ispirato il pragmatismo della politica anglosassone senza tuttavia mai riuscire a trionfare del tutto negli esiti morali e politici, Salvadori ci fa attraversare l'Europa del diritto e delle riforme sociali passando dalla Svizzera e dalla Germania per approdare all'Italia che dal dopoguerra cerca ancora una strada da percorrere per il trionfo del bene comune ( purtroppo da noi ha trovato casa, con grande e diffuso tripudio, soprattutto la sua assenza,  l'interesse "privato" appunto)

Ecco l'incipit del suo articolo pubblicato ieri su la Repubblica. Gli spunti sono tanti per continuare a discuterne:



"Nei momenti di crisi profonda di un Paese, quando si acuiscono i contrasti tra le parti politiche e sociali, allora si leva con forza l' appello a far prevalere l' interesse generale. Ma come si individua il benefico superiore interesse pubblico chiamato a mettere le briglie agli interessi particolari, la cui difesa, rappresentanza e legittimità sono d' altra parte considerate nelle società pluralistiche e democratiche fondamenti delle libertà politiche e civili?"

 prosegue

venerdì 27 luglio 2012

La democrazia presa sul serio

Oggi la parola democrazia rischia di logorarsi per l'uso improprio e persino ubiquo, tirata in ballo da tutti per giustificare tutto, da chi combatte e da chi si difende, da chi vuole costruire così come da chi  tende a demolire quanto faticosamente messo in piedi nel corso degli ultimi secoli di storia. Ecco perchè essa "va presa sul serio", come suggerisce Paolo Flores D'Arcais, estendendone, stavolta con assoluta proprietà d'azione e di senso, il suo ambito alla  moralità, realizzazione istituzionale dell’imperativo kantiano che impone a tutti: "Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro,sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo".







(...)Torna perciò all’ordine del giorno il dovere di pensare la democrazia, ragionare su cosa siano le «democrazie» realmente esistenti, fino a dove sia consentito lo scarto tra etimologia e istituzionipolitiche, prima che «democrazia» diventi il pass-partout per nuovi dispotismi in versione postmoderna.
La democrazia è nata più volte (quella moderna, intendiamo), diversa ogni volta perché ogni volta ha alimentato differenti speranze. Winston Churchill, mastino conservatore, la voleva minimalista: la peggior forma di governo a eccezione di tutte le altre. Ma Albert Camus, nel ’44 su «Combat» clandestino, la definiva «uno stato della società dove ciascun individuo possieda in partenza ogni chance, e dove la maggioranza del Paese non sia tenuta in una condizione indegna da una minoranza di privilegiati», e in quegli
stessi giorni Giacomo Ulivi, 19 anni, studente di legge, partigiano per due volte catturato ed evaso, la terza torturato e fucilato, scriveva agli amici dal carcere: «Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è lavoro di “specialisti” […]. Credetemi, la “cosa pubblica” è noi stessi […]. Appunto per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante» (...) Perciò, alla non disinteressata domanda «la democrazia presa alla lettera è possibile?», sarà bene rispondere con un’altra domanda: è possibile non prenderla alla lettera? (...) La democrazia costituisce infatti l’orizzonte politico ineludibile dell’autonomia umana, che però è tale solo se di-tutti-e-di-ciascuno. Laddove la sovranità non sia egualmente con-divisa, infatti, scolora nella gerarchia, sottrae dignità a ogni gradino che si scende nella scala del potere. Con la democrazia, la sovranità è stata rubata al Cielo, come il fuoco da Prometeo, proprio perché nessun sapiens se ne potesse più incoronare rappresentante e «unto», nella sudditanza degli altri. Non ha dunque altra legittimazione che la fedeltà al proprio concetto; senza questa fedeltà consegna una «terra desolata» al mero scontro delle volontà di potenza, al successo come unico criterio della legittimità: surrogato moderno dell’ordalia.

DEMOCRAZIA! Libertà privata e libertà in rivolta




sabato 21 luglio 2012

LE NUOVE PROVINCE ITALIANE

Nella  recente riunione del Consiglio dei Ministri  è stata varata la circolare con i criteri per la riduzione delle province italiane.  "In base ai criteri approvati - si legge - i nuovi enti dovranno avere almeno 350mila abitanti ed estendersi su una superficie territoriale non inferiore ai 2500 chilometri quadrati". La soppressione, ha precisato il ministro Filippo Patroni Griffi, potrà portare il numero delle province a 40 e ridurre a 10 le città metropolitane.




La soppressione delle province esistenti e la creazione delle nuove sarà realizzata "con legge", ha precisato il ministro in conferenza stampa. "Puntiamo a concludere il processo normativo entro il 2012 - ha aggiunto precisando - ma si può fare anche prima".

Stando ai dati Istat, in Piemonte, delle otto province attuali, sparirebbero quelle di Vercelli, Asti, Biella, Verbano-Cusio e Novara. In Lombardia dovrebbero essere accorpate quelle di Lecco, Lodi, Como, Monza Brianza, Mantova, Cremona, Sondrio e Varese. Nel Veneto rimarrebbero in vita Venezia Verona e Vicenza. Accorpamento in vista anche per Rovigo, Belluno, Padova, Treviso. In Liguria su quattro province attuali sparirebbero Savona e Imperia. In Emilia Romagna accorpate Reggio Emilia, Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Piacenza. In Toscana, su 10 Province, si salverebbe solo Firenze.

In Umbria rimarrebbe solo Perugia; nelle Marche "salve" Ancona Pesaro e Urbino, nel Lazio Roma e Frosinone, in Abruzzo L'Aquila e Chieti, in Molise Campobasso, in Campania salve tutte tranne Benevento. In Basilicata rimarrebbe in vita la provincia di Potenza; in Puglia quelle di Bari, Foggia e Lecce. Infine in Calabria, da accorpare Crotone e Vibo Valentia.

A queste sono da aggiungere le province nelle Regioni speciali: in Sicilia su nove rimarranno in vita solo Palermo, Agrigento, Catania e Messina. In Sardegna rimarrà solo la Provincia di Cagliari. Infine in Friuli, su quattro province iniziali, rimarrebbero Trieste e Udine.

Le nuove Province eserciteranno le competenze in materia ambientale, di trasporto e viabilità (le altre competenze finora esercitate vengono invece devolute ai Comuni, come stabilito dal decreto "Salva Italia"). La soppressione delle Province che corrispondono alle Città metropolitane - 10 in tutto, tra cui Roma, Milano, Napoli, Venezia e Firenze - avverrà contestualmente alla creazione di queste (entro il primo gennaio 2014).

giovedì 19 luglio 2012

Premio Paolo Borsellino


post di Marco Sorbello




La Vice Presidenza vicaria del Consiglio Comunale di Catania, la S.C.A.M. (Società Catanese Amici della Musica) e l’Associazione Culturale “La Contea”, con il patrocinio dell’Assessorato Regionale al Turismo, in occasione dell’anniversario della morte di Paolo Borsellino, grande Italiano e simbolo immortale di magistrato libero ed onesto, e degli uomini della sua scorta, intendono ricordarne il sacrificio con l’iniziativa “Note di Legalità…Contro ogni Mafia” e la consegna per il Quinto anno del premio “Paolo Borsellino, Eroe italiano”.
Il momento di ricordo promosso, nel ventesimo anniversario della barbara strage mafiosa, intende imprimere nella coscienza civile comune la necessità di proseguire la lotta ad ogni forma d’azione e cultura mafiosa. Borsellino, infatti, ha rappresentato unitamente ad altri nostri importanti connazionali, in un momento drammatico della storia della nostra Nazione, una fiaccola nel buio della corruzione e del dilagare del fenomeno mafioso.
In questo senso si intende sollecitare l’esigenza di continuare a tenere alta la battaglia culturale, sociale e politica contro le mille mafie che distruggono le nostre speranze per non relegare, solo ai momenti delle ricorrenze, il ricordo d’uomini coraggiosi ed esempi imperituri come Borsellino.
Proprio per tali ragioni l’iniziativa programmata intende, attraverso l’aggregazione culturale, riunire tutte le componenti della società civile (cittadini, istituzioni civili e religiose, magistratura, forze dell’ordine) per creare un momento di confronto e di ricordo costruttivo di quanti hanno sacrificato la vita per contrastare ed estirpare il cancro mafioso nonché per alimentare l’impegno di tutti nel contribuire all’affermazione dei principi di legalità e giustizia.

mercoledì 18 luglio 2012

Dedicato a Borsellino


Ancora un  libro, dopo UOMINI SOLI di Attilio Bolzoni, per non dimenticare le stragi di mafia ancora senza colpevoli e avvolte nel mistero:  Il vile agguato. Chi ha ucciso Paolo Borsellino,  di Enrico Deaglio.

-Felice il paese che non ha bisogno di eroi- scriveva Brecht nella Vita di Galileo, perchè è maturo per raggiungere la giustizia e far luce sulla verità con la collaborazione di tutti e con il sostegno della coscienza civile della sua gente. Noi non abbiamo ancora conosciuto questa maturità ma dobbiamo credere fermamente nella sua possibilità, non abbiamo scelta se vogliamo sopravvivere con la dignità che la nostra storia ci consegna. Per questo bisogna lottare ogni giorno con tutte le nostre forze in una sola direzione: quella che non accetta il silenzio e non autorizza privilegi o abusi di potere.




Riportiamo la segnalazione del testo a cura  di Roberto Saviano su Repubblica di oggi, 18 luglio 2012:

VENT'ANNI FA, dal condominio di via D'Amelio esce un uomo, con la sua famiglia. Fa un gesto che all'epoca deve essere sembrato insignificante: scaccia i bambini che giocano vicino a un'utilitaria parcheggiata. È Salvatore Vitale, abita nello stesso palazzo della madre di Borsellino, sarà poi accusato di essere uno degli esecutori materiali della strage.
Vent'anni fa, nello stesso condominio di via D'Amelio, entra Paolo Borsellino: deve portare sua madre dal medico, ma non ne avrà il tempo. Rivediamo la terribile sequenza di immagini: una tranquilla strada in uno dei quartieri cresciuti come erbacce alle pendici del monte Pellegrino, su cui sta appollaiato il Castel Utveggio, sede forse dei servizi segreti e forse luogo da cui sarebbe stato azionato il telecomando della bomba. Un boato tremendo, auto scaraventate in aria, una stradina devastata.
Sulla scena accorre subito una moltitudine di persone, che rende difficile il lavoro di chi dovrebbe fare i rilievi. Così il 19 luglio del 1992 muoiono Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Uno solo si salva: è Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta. Così comincia un mistero che non è stato ancora chiarito(...)
Le stragi del '92 e del '93 in Italia sono tutt'altro che storia superata, metabolizzata, chiarificata. Se le stragi del '93 erano un tentativo da parte della mafia di contrattare con lo Stato condizioni di vita meno dure nelle carceri, gli effetti sono stati di breve durata. Io ho sempre ritenuto che gli attentati fossero gli ultimi rantoli di una bestia morente, di una bestia che era stata colpita al cuore come mai era accaduto prima.
Di una bestia che aveva sempre agito indisturbata e che invece, con il lavoro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, era stata finalmente smascherata. Nel 1978 era morto Peppino Impastato, nel 1984 Pippo Fava, nel 1990 Rosario Livatino, senza che la società civile italiana, tutta, si fosse sentita davvero colpita al cuore. Falcone e Borsellino avevano compiuto quella rivoluzione civile, anzi, come dicevano loro "culturale" che il nostro paese aspettava, avevano toccato i tasti giusti e l'avevano fatto in un momento in cui le persone, da Milano a Palermo, erano pronte a seguirli.
Oggi, in questo dibattito, si inserisce un libro Il vile agguato. Chi ha ucciso Paolo Borsellino. Una storia di orrore e menzogna (Feltrinelli) di Enrico Deaglio. L'ho letto cercando di rimanere calmo. Di non lasciarmi aggredire dalla rabbia che ti sale leggendo per quanti anni depistaggi, menzogne, falsità, bugie, corruzioni, sono colate come irrefrenabile lava sulla tragedia di Paolo Borsellino. Ma poi mi sono chiesto se in un certo senso non fossimo tutti colpevoli di aver permesso che verità rassicuranti coprissero con un velo di comoda ignoranza la sua morte, mentre gli intitolavamo piazze e scuole.....
PROSEGUE SU REPUBBLICA

lunedì 16 luglio 2012

La storia scritta da una donna: La ragazza del secolo scorso


“Ognuno avrebbe fatto la sua strada e quando ne leggo le ricostruzioni tutto mi pare vero e sfocato, perché per un paio d’anni si fu assieme, senza generazioni e gerarchie, ci conoscevamo tutti, tutto si stava facendo, e anche i disaccordi avevano un sale.” 

"(le tesi del 1957) ammettevano il disastro all'est, ma da noi si doveva e poteva cambiare, si aprivano le finestre, si respirava. Eravamo il caso Italia, dove il fscismo, perseguitandole tutte, aveva impedito alle diverse anime della sinistra di dividersi come altrove e ci eravamo innestati con intelligenza nel dopoguerra. e la Resistenza ci aveva fatto gente nuova, per la quale non era un trauma sentirsi dire che il socialismo passava in ogni paese per una propria strada" p.191

"Avevamo davanti la nostra gente, che la migrazione dalle Venezie e dal Mezzogiorno gonfiava come un'onda- arrivavano dai treni del sud, quelli che viaggiano lenti nella notte, fermandosi a ogni città con uno scossone e approdando al mattino alla stazione centrale di Milano o a Porta Nuova a Torino, dove vomitavano valigie di cartone e gente sfinita da giorni di spostamenti tra corriera, trenino locale e finalmente i vagoni del nord. Non era difficile trovare lavoro a Milano, ognuno era tirato su da un altro, parente o conoscente arrivato prima(...)" pp.196-197

"Nell'autunno del 1968 gli studenti si ritrovarono nelle loro sedi, decisi a logorare le università più che a riempire le strade. Non avevano torto. Misero in causa i tempi e i modi dell'insegnamento e i docenti non seppero come farvi fronte(...) Nell'inverno del 1969 cominciarono a organizzarsi i gruppi che si definirono extraparlamentari. Erano nati dal sensato bisogno di darsi un'analisi, una tesi e una linea di azione non limitate alle manifestazioni" p.364

Sono queste solo alcune riflessioni sul nostro Novecento tratte dal libro che ho appena finito di leggere, La ragazza del secolo scorso, e che non posso non consigliare per lo spaccato sociale, culturale ed ideologico dell'Italia del dopoguerra e delle sue relazioni con il resto del mondo che ci consegna.
Scritto nel 2005 da Rossana Rossanda, partigiana, intellettuale, dirigente dle PCI fino al 1969, poi radiata per le posizioni critiche nei confronti del partito e fondatrice del quotidiano "il manifesto", il testo autobiografico è una ricostruzione di rara efficacia storica e narrativa, anche se l'autrice precisa:  "Questo non è un libro di storia". Tutti gli eventi che hanno attraversato quegli anni sono riportati sotto una duplice luce, quasi bergsoniana:  esterna  (il fatto come riportato dalle cronache e dal partito ) ed interna (nel vissuto della Rossanda, nella custodia "reumatica" della sua memoria), con l'effetto di una costruzione intensa che chiede il tempo lento della lettura puntuale, poichè su nulla è possibile sorvolare, tacere, ignorare se si vuole intendere la maturazione di un pensiero e la sua posizione critica. Quello che siamo stati, si potrebbe dire, quello che avremmo voluto essere, e quello che infine siamo diventati.


Grazia Casagrande (  http://www.wuz.it/archivio/cafeletterario.it/408/cafelib.htm) così lo presenta:
"La prima parte vede una ragazza borghese, figlia di una famiglia intelligente, dover affrontare il primo dei tanti traslochi della sua vita, da Pola a Venezia. Cambiamenti radicali, perdita di alcuni agi, ma nessuna privazione vissuta come tale. Il rapporto con la sorella, da cui solo due anni la dividono, appare fin da subito forte e solidale, la madre è una figura solare, il padre è colui con cui condividere fin da giovanissima la passione per la lettura e una certa sintonia di carattere. Da Venezia a Milano, dall’infanzia all’adolescenza, e intanto fuori da casa il fascismo: ma lei, come probabilmente tante sue coetanee, non avvertono bene che cosa ciò significhi, anche per una certa volontà, forse neppure consapevole, della famiglia di tenere lontano il privato dalla volgarità del pubblico.

Questa inconsapevolezza sarà poi l’elemento che domina anche alcuni momenti cruciali della storia italiana che sfiorano appena la liceale Rossana. L’assenza improvvisa della compagna ebrea non suscita domande, la guerra di Spagna così come è riportata dalla stampa crea un certo orrore per quei “rossi” anticlericali e cruenti, insomma l’approdo all’università la vede piena di stimoli intellettuali, ma del tutto priva di quella che chiameremo coscienza politica. L’ammirazione per alcuni docenti, e in particolare per Banfi, il passaggio in clandestinità di Marchesi, l’improvvisa scoperta del comunismo dopo un fine settimana passato a leggere in modo forsennato testi cruciali consigliati da Banfi stesso, il mettersi a disposizione della Resistenza: passaggi straordinari che coinvolgono il lettore facendogli capire molto di più di un periodo storico e il tutto presentato con la passione, la semplicità, l’incoscienza dell’età in cui era stato vissuto.

Le pagine che raccontano, senza alcuna nota trionfale o eroica, quegli anni drammatici e non privi di contraddizioni, così come quelle che parlano del dopoguerra, dell’adesione al Partito Comunista e dell’attività dirigente al suo interno, non dimenticano mai le dinamiche familiari e private in un perfetto equilibrio (così come avviene nella vita) tra le varie componenti di una persona, gli affetti, gli interessi, gli errori e le ambiguità. Credo che proprio questa sincerità austera sia una delle note di merito del libro che, e passiamo agli anni successivi e al sempre maggior impegno nel Partito, raccontando la storia di una singola vita, permette di ripercorrere anni fondamentali della storia recente non solo italiana.

Un’altra riflessione spontanea: l’importanza nella società del Pci, il suo essere luogo di idee, d’incontro e di crescita, al di là dei ruoli specifici, “fra la fine degli anni cinquanta e nei primi sessanta ci fu un veloce cambiare delle idee e perfino delle cose attorno a noi. Era il boom, la coesistenza, la nuova frontiera, la fine dei colonialismi – il tutto accompagnato da un crescere della sinistra e della buona coscienza”.

La passione del fare politica: “Mai ci si realizza come assieme agli altri, cui con naturalezza si spiega come fare – dev’essere il temibile materno, fabbricare le creature, nutrirle, insegnargli a camminare, svezzarle malvolentieri. Mai si è meno sacrificati che in un collettivo che hai scelto e cui ti credi necessaria.”

E poi il Sessantotto: “Del maggio francese si dovrebbe parlare con serietà, quasi solennemente, perché sia chi lo apprezza sia chi lo detesta non nega che abbia costituito una cesura storica”.

L’ultima parte, quella della frattura dal Partito, non è dominata da sentimenti di rancore o di rabbia, c’è un profondo rispetto, una stima (in particolare per Ingrao e Berlinguer) che la differenza frontale di posizioni e di scelte non incrina, così come anche dall’altra parte non vi fu nessuna volontà di discredito nei confronti del gruppo de il manifesto. Uno stile e una grandezza morale insomma che oggi profondamente si rimpiange.

Il prodotto e la causa scatenante quella radiazione sono tuttora un importante riferimento politico-culturale, luogo di dibattito e riflessione, il manifesto nasce dalla speranza e dall’aspirazione di farsi voce, luogo e crogiuolo di una nuova cultura di sinistra: “Speravamo di essere il ponte fra quelle idee giovani e la saggezza della vecchia sinistra, che aveva avuto le sue ore di gloria. Non funzionò. Ma questa è un’altra storia”.

Appunto, inizia da lì la storia di questo nuovo secolo per tanti versi così disastrato.

 





domenica 15 luglio 2012

Il viaggio verso Asunciòn




post di Rosemary Mavilia ,Valentina Vasta e Alice Caruso, classe 4 B

 

Nel 1951 partiva dal porto di Genova Giovanna Arcidiacono Sorbello insieme ai suoi due piccoli figli Giuseppina e Giovanni, diretti tutti ad Asunción, la capitale del Paraguay. A Genova Giovanna s’imbarcava su una nave che conduceva gli emigrati a Buenos Aires: la maggior parte di loro, infatti, era diretta in Argentina, e da lì solo pochi del gruppo avrebbero navigato il fiume su una piccola imbarcazione  per essere infine condotti ad Asunción.

Non si tratta dell'incipit di un nuovo racconto di Gabriel Garcia Marquez ma della partenza dalla Sicilia di una energica signora e della sua famiglia all'inizio del secondo dopoguerra. Una nuova storia d'emigrazione dalla nostra isola. Nei giorni scorsi abbiamo potuto incontrare ed intervistare Giovanna (con i suoi splendidi 94 anni!) a due passi dal mare di Fondachello, complice la vacanza nel paese d'origine con la figlia Giuseppina per ritrovare parenti e amici di quel tempo lontano.


Giovanna Arcidiacono Sorbello durante l'intervista del 9 luglio 2012

Ecco la sua storia straordinaria

Originaria di Catania, dopo aver completato il terzo anno d’istruzione primaria Giovanna trascorse i successivi 15 anni della sua vita cucendo e vendendo cappelli di sua creazione in città. Dopo la guerra però la situazione precipitò e suo marito perse il lavoro. La famiglia decise così di chiedere aiuto ad un anziano cugino che fin dal 1890 viveva in Paraguay, sperando in nuove opportunità di vita. Proprietario di una fabbrica, il cugino con un “atto di richiamo” permise la loro emigrazione, pagò tutte le spese necessarie affinché la famiglia di Giovanna potesse affrontare il viaggio, offrì al marito di Giovanna un posto in fabbrica (dove il signor Vito Sorbello lavorerà per 30 anni) e fornì un alloggio per tutta la famiglia. Tuttavia ben presto si capì che la situazione economica era difficile anche in Paraguay, anche perchè negli anni precedenti il paese era stato coinvolto nella Guerra del Chaco, combattuta tra Bolivia e Paraguay per il controllo della regione del Gran Chaco (in America Meridionale), e sul paese gravavano pesanti oneri che si aggiungevano alla sua già precaria vita sociale e politica. Il solo stipendio del marito non bastava alla famiglia, e Giovanna voleva assicurare a tutti i costi benessere ed istruzione ai suoi tre figli. Così anche lei si diede da fare ed avviò una piccola attività commerciale, dove all’inizio vendeva piccoli oggetti artigianali e i lavori a maglia realizzati a casa. Pian piano nel negozio aggiunse altri articoli, lo ingrandì e lo trasformò anche in libreria. Con questa attività la famiglia fu tirata su con dignità e le difficoltà iniziali furono nel tempo superate.
Un momento dell'intervista: Giovanna tra Valentina e Rosemary

Partire per tornare?

Sin dal loro arrivo in Paraguay, l’intenzione di Giovanna e del marito era di lavorare per mettere da parte un po’ di denaro così da poter ritornare in Italia, ma in seguito al secondo vano tentativo del marito di trovare un lavoro in Italia, la famiglia decise di stabilirsi definitivamente ad Asunción, dove vive tuttora.

Come si viveva in Paraguay?

I pochi italiani che si trovavano in Paraguay negli anni Cinquanta lavoravano come operai nei calzaturifici. A quell’epoca l'emigrazione dal nostro paese era scarsa, né era favorita dal governo che si era instaurato nel 1954 con Alfredo Stroessner, dittatore militare conservatore che rimarrà al potere per più di 30 anni. Il paese veniva fuori da una forte instabilità: tra 1904 e 1954 il Paraguay ha avuto trentuno presidenti, la maggior parte rimossi da sommosse, aggressioni e colpi di stato. Né le cose sono migliorate con la dittatura.

Lo stato di degrado del paese e il disastroso stato delle finanze, ha favorito nel tempo la creazione di un movimento di opposizione. Così nell'Aprile del 2008 il candidato progressista Fernando Lugo ha ottenuto una storica vittoria nelle elezioni presidenziali. Infine, proprio lo scorso giugno, il vicepresidente Federico Franco ha preso il posto del presidente Lugo, destituito in seguito alle accuse riguardanti l’aumento della violenza nello stato sudamericano. Dal 2010 nel Paese si è registrata una delle più significative crescite mondiali, arrivando ad un aumento del 14,5% del PIL, ma lo sviluppo economico non ha contribuito alla diminuzione del tasso di povertà, che riguarda il 38% della popolazione, accompagnato anche da sottoccupazione diffusa.
Giovanna si dice amareggiata per le condizioni del paese, soprattutto per la situazione dei giovani. Anche dopo essersi laureati,  infatti, i più non hanno lavoro e rischiano di entrare nel circolo vizioso della droga e della delinquenza perchè non trovano una occupazione adeguata.

Quale cittadinanza?
L’intera famiglia di Giovanna ha acquisito la residenza definitiva paraguaiana, ma la maggior parte di loro ha rinunciato ai diritti politici per conservare la cittadinanza italiana. La scelta è legata sia ad una tutela delle proprie origini che alle maggiori opportunità di movimento in Europa offerte dall'appartenenza ad un paese dell'Unione Europea.

 
La terra nel cuore
 
Nel suo cuore, Giovanna conserva sempre il ricordo nostalgico della sua terra, e quando può, torna a visitarla insieme alla figlia Josephine.
 






a cura di Giuseppina Sorbello, figlia di Giovanna


Il team dell'intervista: Giuseppina Sorbello e la madre Giovanna tra Rosemary (addetta alla trascrizione della storia), Alice (riprese video), Valentina (intervistatrice), Valerio Barone (fotografo) e la prof.ssa Grazia Messina

lunedì 9 luglio 2012

Dopo il bosone un "premio": i tagli del governo all'INFN



LA LETTERA DI FERNANDO FERRONI A GIORGIO NAPOLITANO:

LA RICERCA VA PUNITA O PREMIATA?


I tagli previsti dalla spending review sull’Istituto nazionale di Fisica nucleare, fresco di elogi e riconoscimenti per aver concorso alla scoperta del Bosone di Higgs, rischiano di avere “effetti devastanti” sulla ricerca.
E’ l’allarme lanciato dal presidente dell’Infn, Fernando Ferroni, che ha scritto una lettera in proposito al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Mi rivolgo a Lei – scrive Ferroni – perche’ ci ha dato l’enorme gioia di inviare ai fisici italiani del CERN un plauso per il successo nella ricerca del bosone di Higgs. Nel Suo messaggio Lei sottolineava il rilievo internazionale della fisica italiana e il suo prestigio nel mondo. Mi permetto di aggiungere che proprio questo prestigio ha fatto si’ che commesse per centinaia di milioni di euro siano arrivate alle Pmi italiane ad alta tecnologia nel corso della costruzione dell’acceleratore di particelle di Ginevra“.
“Ora - prosegue la lettera - con una scelta non discussa ne’ preannunciata nel decreto sulla Spending Review, non solo il prestigio, ma la capacita’ stessa di stare al passo con la ricerca internazionale in fisica e di avere un futuro per la fisica italiana, vengono gravemente compromessi. Il taglio previsto per gli enti di ricerca grava infatti in modo particolare sull’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che si trova a rinunciare da solo alla stessa cifra – o quasi – di quel che tutti gli altri enti di ricerca messi assieme debbono subire in termini di riduzione del contributo statale. Non troviamo coerenza logica in questo taglio e non vediamo come esso si coniughi con il tentativo, che pure il Governo fa, per non attuare tagli lineari ma valorizzare le parti produttive della spesa pubblica“.

Con questo provvedimento, sottolinea Ferroni, “si penalizza la qualita’ e l’eccellenza, distruggendo la nostra possibilita’, come Paese, di partecipare ai grandi progetti internazionali di ricerca e di ottenerne, come nel caso del CERN di Ginevra, la leadership. Ricostruire questa posizione costata decenni di lavoro e di visione strategica potrebbe essere impossibile per il Paese nel medio-lungo periodo. Se l’Italia vuole uscire dalla crisi con una visione di lungo periodo, la scienza non puo’ essere letta esclusivamente come un problema contabile. Anche perche’ le risorse tagliate sono, in termini assoluti, molto piccole, ma in termini di possibilita’ di operare, devastanti“.

Richiesta assolutamente condivisibile, non è possibile una sviluppo se si pensa solo a tagliare per fare quadrare i conti. Si esce dalla crisi solo con un piano di ripresa parallelo alla lotta agli sprechi. Non priviamoci anche di questa preziosa risorsa-cultura, formazione, ricerca- tra le poche a sopravvivere nel degrado generale.

Diaz: la giustizia dopo undici anni


E' proprio vero che la democrazia non è mai una conquista definitiva, e che richiede attenzione vigile, coscienza civile matura, una società capace di vedere, parlare, denunciare. Le parole che Renan dedicò alla nazione- è il plebiscito di ogni giorno- io le ho sempre pensate per definire la democrazia.  
La vicenda Diaz che ci ricorda che la deriva è infatti sempre possibile, che nel giro di poche ore un paese che ha saputo riscrivere con coraggiosa dignità la sua storia dopo venti anni di dittatura può sprofondare nell'abisso di pratiche ed abusi di potere che pensavamo fossero solo del Cile o dell'Argentina di qualche decennio fa. E' accaduto anche da noi, undici anni fa che sembrano ieri per la ferita profonda che hanno lasciato nella nostra fierezza democratica, per le immagini di volti insanguinati, di ragazze e ragazzi pestati, violati nel loro diritto di parola, di pensiero, di esistenza, immagini che portiamo tutti impresse nella memoria,  puniti per la nostra ingenua fiducia.
Ai pestaggi di quel giorno si sono aggiunti un complice  silenzio  e l'ignobile mascheramento del potere chiamato a far luce sull'accaduto. Sistemi da sudamerica, deriva assoluta.



Scrive Repubblica: sono passati "undici anni dalla notte in cui, a Genova, nel quartiere di Albaro, la "democrazia venne sospesa" e quattrocento poliziotti impazziti e maldiretti entrarono nella scuola elementare "Diaz" per massacrare di botte 92 persone. Nei giorni scorsi la Cassazione ha emesso la sua sentenza, riportando la giustizia al suo posto tra gli uomini. " Undici anni finiscono qui, scrive con condivisibile sollievo civile Carlo Bonini sulle pagine del quotidiano: il 5 luglio 2012 sono stati finalmente condannati i responsabili di quella "macelleria messicana2.
In effetti la sentenza è importante  ma il cammino della giustizia non si è ancora concluso. Quello della coscienza non avrà mai pace.

Lo scorso anno Amnesty International, appellandosi alla tutela dei dirtitti umani, esprimeva il suo disappunto:
"per dover ancora una volta rinnovare la richiesta di un'assunzione di responsabilità per le violazioni dei diritti umani commesse in quei giorni dalle forze di polizia. L'organizzazione teme che non aver affrontato lacune strutturali di tipo legale e istituzionale possa dar luogo, in futuro, a nuove violazioni dei diritti umani. L'impunità per violazioni quali quelle commesse in occasione del G8 di Genova del 2001 costituisce una macchia intollerabile nella storia dei diritti umani in Italia.
Dal 19 al 21 luglio 2001 Genova ospitò il summit del G8, un incontro tra i governi delle otto nazioni più industrializzate. In quei giorni, si stima che oltre 200.000 persone presero parte alle iniziative antiglobalizzazione nelle strade della città ligure. Sebbene la maggior parte di esse manifestò in modo pacifico, alcune proteste degenerarono in atti di violenza, che procurarono ferimenti e ingenti danni a beni.
Alla fine del summit, si contavano un manifestante morto, Carlo Giuliani, ucciso da un colpo di pistola sparato da un carabiniere, e diverse centinaia di persone (manifestanti, giornalisti e alcuni agenti delle forze di polizia) ferite nel contesto degli scontri tra le forze di polizia e parte dei manifestanti.
Subito dopo il G8, così come nei mesi e negli anni successivi, vennero alla luce prove di violazioni dei diritti umani da parte di rappresentanti delle forze di polizia, agenti penitenziari e personale medico, nei confronti di cittadini italiani e stranieri. Le prove si riferivano a maltrattamenti compiuti sia durante le manifestazioni che nella scuola Diaz (usata come dormitorio per i manifestanti e come centro stampa del Genoa Social Forum) e nella caserma militare di Bolzaneto, che le autorità avevano adibito a carcere provvisorio."

Amnesty definisce oggi  importante la sentenza della Corte di Cassazione  "che finalmente e definitivamente, anche se molto tardi, riconosce che agenti e funzionari dello stato si resero colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani di persone che avrebbero dovuto proteggere.
Tuttavia, Amnesty International ricorda che i fallimenti e le omissioni dello stato nel rendere pienamente giustizia alle vittime delle violenze del G8 di Genova sono di tale entità che queste condanne lasciano comunque l’amaro in bocca: arrivano tardi, con pene che non riflettono la gravità dei crimini accertati – e che in buona parte non verranno eseguite a causa della prescrizione – e a seguito di attività investigative difficili ed ostacolate da agenti e dirigenti di polizia che avrebbero dovuto sentire il dovere di contribuire all’accertamento di fatti tanto gravi. Soprattutto, queste condanne coinvolgono un numero molto piccolo di coloro che parteciparono alle violenze ed alle attività criminali volte a nascondere i reati compiuti."(Riccardo Noury, Il Corriere della Sera)


Per un plebiscito quotidiano servono fiducia, condivisione d'intenti, speranza d'avvenire. Il futuro, ha detto Robert Kowzlscki, non esiste in sè: quando lo incontriamo è già presente. Da qui dunque bisogna partire, con occhi bene aperti. Iniziamo a scrivere la pagina che si infutura nella dignità della giustizia e del rispetto dell'altro. Solo questa può essere chiamata, oggi e sempre, democrazia.











parla il regista Daniele Vicari






giovedì 5 luglio 2012

I poteri del Presidente della Repubblica




Dalla conversazione di Giorgio Napolitano con Eugenio Scalfari ecco le parole del Presidente sui poteri del  suo mandato:

"(...) In questi sei anni al Quirinale ho potuto meglio comprendere come il presidente della Repubblica italiana sia forse il Capo di Stato europeo dotato di maggiori prerogative. I Re, dove ancora ci sono, sono figure importanti storicamente ma essenzialmente simboliche. Gli altri Capi di Stato "non esecutivi" hanno in generale poteri molto limitati. Il solo al quale, oltre a rappresentare l'unità nazionale, la Costituzione attribuisce poteri in vario modo precisi e incisivi è quello italiano. Naturalmente il presidente francese ha prerogative di rilievo molto maggiore ma in Francia c'è una forma di presidenzialismo, la nostra invece è una Repubblica parlamentare la cui Costituzione però ha riservato al Quirinale un peso effettivo. Penso sia stata una scelta molto meditata dei padri costituenti".

Alla domanda di Scalfari su quale sia il suo ruolo, Napolitano spiega: " Sollecita quella "leale cooperazione istituzionale" che deve essere un criterio costante nei rapporti tra i vari poteri dello Stato e le diverse articolazioni della Repubblica. Presiede l'organo di autogoverno della magistratura; presiede il Consiglio Supremo di difesa che si riunisce periodicamente con la partecipazione del Presidente del Consiglio e dei ministri degli Esteri, della Difesa, dell'Interno e dell'Economia. Inoltre il Presidente nomina i senatori a vita, 5 dei 15 giudici della Corte Costituzionale e concorre alla scelta di membri di altre istituzioni pubbliche secondo quanto previsto da disposizioni di legge. Ma soprattutto spetta al Capo dello Stato il potere di sciogliere anticipatamente le Camere quando esse non siano più in grado di esprimere una maggioranza e di svolgere correttamente la loro funzione e spetta a lui la nomina del presidente del Consiglio e, su proposta di quest'ultimo, dei ministri."

Precisa Scalfari: "Napolitano ritiene i partiti insostituibili; il loro ruolo è previsto in Costituzione: contribuiscono con metodo democratico all'indirizzo politico del Paese e sono il raccordo tra il popolo e le istituzioni. Ma per farlo devono oggi profondamente rinnovarsi e operare in modo trasparente, non possono e non debbono incombere sulle istituzioni".

Leggere questa intervista è quasi come raccogliere un "testamento politico" del capo dello Stato, ormai prossimo alla fine del suo settennato. E poichè Napolitano è riuscito davvero ad essere il presidente degli italiani in un periodo tra i più difficili della storia del paese, abbiamo già una valida ragione per andare a leggere, ancora una volta,  le sue parole.


colloquio tra Eugenio Scalfari e Giorgio Napolitano

lunedì 2 luglio 2012

Italia senza lavoro


Pubblicate nei giorni scorsi le statistiche sul tasso di disoccupazione giovanile:  in Italia sale al 36,2 %, ed è il dato più alto registrato dal 1992. Un paese senza lavoro può diventare un paese da cui fuggire. Anche l'emigrazione è infatti in crescita. A Palermo dal 2001 al 2011 la popolazione si è ridotta di tremila unità l'anno. E tutto il Sud è nella stessa condizione. L'Italia sembra non essere più un paese per i giovani.
Siamo di fronte ad una reale emergenza sociale e culturale, le cui radici sono economiche ma anche politiche per le scelte dissennate dei governi degli ultimi decenni.


Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), ovvero l'incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca di lavoro, a maggio è al 36,2%. Lo rileva l'Istat nei suoi dati provvisori resi noti questa mattina. Si tratta del tasso più alto sia dall'inizio delle serie storiche mensili (ovvero dal gennaio del 2004) che da quelle trimestrali (iniziate nel quarto trimestre del 1992). La disoccupazione giovanile quindi sale ancora, aumentando di 0,9 punti percentuali su aprile e così mettendo a segno un record storico (finora mai era stato registrato un tasso più alto).
Ecco che a maggio oltre uno su tre dei giovani "attivi" è in cerca di un lavoro. Mentre se si rapporta il dato dei disoccupati tra i 15 e i 24 anni sul totale della popolazione nella stessa fascia d'età risulta in cerca di un impiego più di uno su dieci anni, il 10,5%.
Il tasso di disoccupazione tra la popolazione nel suo complesso a maggio è al 10,1%, in lieve calo (-0,1 punti percentuali) a confronto con aprile, quando toccò un massimo dall'inizio della serie storica mensile (gennaio 2004). Mentre sale di 1,9 punti percentuali su base annua. Si tratta della prima diminuzione, anche se lieve, del tasso di disoccupazione da febbraio del 2011, quindi da quasi un anno e mezzo. Tuttavia i tecnici dell'Istat spiegano che il quadro resta "sostanzialmente stazionario" con la disoccupazione che rimane su "valori molto elevati".




Il tasso di disoccupazione nel paesi della zona euro a maggio è salito all'11,1%, quando ad aprile era all'11% e nel maggio 2011 era al 10%. Nell'intera Unione Europea, la disoccupazione a maggio è cresciuta al 10,3% dal 10,2% di aprile, quando un anno fa era al 9,5%. Lo comunica Eurostat in una nota. Nel mese di maggio 2012 sono rimaste senza lavoro 24.868 persone nei 27 paesi dell'unione, di cui 17.561 Nell'area euro. In confronto ad aprile, il numero di persone senza lavoro è aumentato di 151mila unità nell'intera unione e di 88mila nell'area euro. In confronto al maggio 2011, la disoccupazione riguarda 1,9 milioni di persone in più nei 27 paesi, di cui 1,8 milioni nella zona della valuta unica.
Tra gli stati membri si va dai tassi minimi di Austria (4,1%), Olanda (5,1%), Lussemburgo (5,4%) e Germania (5,6%), ai massimi di Spagna (24,6%) e Grecia (21,9% il dato di marzo 2012). Per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, quella che interessa i ragazzi sotto i 25 anni di età, nel mese di maggio ha registrato un tasso del 22,6% nell'area euro e del 22,7% nell'intera unione europea. Nel maggio di un anno fa, i due dati erano rispettivamente al 20,5% e al 21%. Si calcola che nell'unione a maggio ci fossero 5,517 milioni di under 25 senza lavoro, di cui 3,4 nella zona euro, con un aumento rispettivamente di 282mila e 254mila unità in confronto al maggio 2011. I tassi più bassi li registrano Germania (7,9%) e Austria (8,3%), mentre i livelli più alti sono di Grecia (52,1%, dato di marzo 2012) e Spagna (52,1%).