sabato 29 settembre 2012

Quale futuro? Eccolo nei documentari di Salina

Se il cinema è specchio di una società e dei suoi problemi, il Salina Doc Fest lo è in modo particolare perchè rischiava di non partire per la crisi economica in atto e solo la buona volontà ha salvato una manifestazione che tiene il polso del reale e sa leggere il presente. 

 
SALINA- La resistenza oggi passa dalla cultura, e l’edizione appena conclusa del SalinaDocFest, giunta al sesto appuntamento, è uno degli esempi di questa volontà, come racconta Giovanna Taviani, direttrice artistica: «Quest’anno il festival è stato salvato da tanti professionisti, amici, dalla gente del posto che ha sostenuto questo appuntamento, una grande prova d’affetto. Da parte nostra, abbiamo cercato e proposto la qualità».

Tanti gli appuntamenti, le anteprime, le presenze, come quella di Emma Bonino, che si è impegnata per la valorizzazione del Salina Doc Fest, i concerti di Edoardo Bennato e Enzo Grananiello. Il tema del concorso nazionale di questa edizione “Quale futuro?” ha avuto come vincitore del Premio Tasca d’Almerita il film “Le cose belle” di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno, ambientato in una Napoli in cui il tempo non esiste, attribuito dalla giuria formata dalla scrittrice Lidia Ravera, dal direttore del Fid Marseille Jean Pierre Rehm, dai registi Gianfranco Rosi e Daniele Vicari, che hanno rispettivamente presentato i loro film “Boatman” e “La nave dolce”. Tra i siciliani, la palermitana Rossella Schillaci ha vinto il Premio del Pubblico con “Il limite”, (prodotto da Clac), storie di pescatori, tra solidarietà, solitudine e speranza, mentre la catanese Cinzia Castanìa ha presentato "Mineo housing", storia della base Nato trasformata in un centro di prima accoglienza. Fuori concorso, dopo la Mostra del cinema di Venezia, Costanza Quatriglio ha presentato “Terramatta”, affresco di immagini e parole per raccontare la storia di Vincenzo Rabito, narratore analfabeta del Novecento.
A conclusione del festival, ieri sera in piazza Beppe Fiorello ha commentato: «Il documentario è davvero popolare, non c’è fiction. Racconta alla gente la realtà. Per questo sono stato felice di accettare l'invito di Giovanna Taviani, la direttrice, per esserle vicino in questo momento di grande difficoltà, per la cultura e per la Sicilia». Paola Nicita, Repubblica 24 settembre 2012

mercoledì 26 settembre 2012

Legge anticorruzione, subito


Pubblichiamo l'appello del quotidiano La Repubblica per avere al più presto la legge anti corruzione. Non passa giorno senza la scoperta di un nuovo malaffare da parte di politici e responsabili di  imprese pubbliche. La misura è colma: non possiamo accettare sacrifici, disoccupazione, la nuova emigrazione dei giovani mentre nelle amministrazioni locali e nazionali si spreca denanro pubblico e si perpetuano comportamenti corrotti e collusi. FIRMIAMO l'appello, facciamo sentire la nostra voce.






"Ormai è una questione di decenza, e anche di sopravvivenza. La legge anti corruzione non può rimanere ostaggio di una destra allo sbando, arroccata nelle paure personali del suo leader, politicamente suicida al punto da non avvertire l'urgenza assoluta di mettere il nostro sistema al passo con l'Europa: ma anche, e soprattutto, con la sensibilità acutissima del Paese, che non tollera più abusi e furbizie.
La cintura di illegalità corruttiva che soffoca l'Italia e la sua libertà tiene lontani gli investimenti stranieri, penalizza le imprese, altera il mercato. Ma soprattutto pesa sul sistema per 60 miliardi all'anno, una cifra enorme che è il segno dell'arretratezza del Paese e del condizionamento di una diffusa criminalità quotidiana.
A tutto ciò si aggiungono l'uso disinvolto del denaro pubblico e gli sprechi del sistema politico. Lo scandalo della Lombardia, con le vacanze pagate al presidente Formigoni da un faccendiere della sanità, e la vergogna del Lazio, con cifre da capogiro intascate dai consiglieri regionali per spese private, fanno ormai trabocca il vaso. Ieri Napolitano ha definito la corruzione "vergognosa", il giorno prima Monti aveva denunciato "l'inerzia" della destra.
Ora non ci sono più alibi. Il governo non può fare il notaio delle inerzie altrui: vada avanti con forza e il Premier chieda al Parlamento di approvare subito la legge. Chi non la vuole, se ne assuma la responsabilità. E l'opinione pubblica faccia sentire la sua voce. Il cambiamento può cominciare qui, oggi.

 EZIO MAURO





"La ostacola chi teme, se condannato per reati gravi, di non poter più essere candidato o ri-candidato. Gli mette sabbia negli ingranaggi chi, nella pubblica amministrazione, è abituato a gestire la macchina dello Stato senza rispettare le regole e a sfruttarla per interessi personali. Non vuole che sia approvata chi ha guadagnato fior di milioni di euro con gli arbitrati, magistrati d'ogni categoria in primis. Ne parla male chi, tra i giudici, è fuori ruolo da più di dieci anni, guadagna il doppio dello stipendio, e rischia invece di dover fare subito le valigie. La odiano tutti i potenziali incriminati per reati come l'abuso d'ufficio, il peculato (vedi Fiorito), la concussione, la corruzione in genere e quella più grave nei confronti delle toghe perché le pene schizzano in avanti. Cercano di fermarla gli imprenditori penalmente sporchi che si vedrebbero da un giorno all'altro tagliati fuori dalla grande torta degli appalti pubblici." (Liana Milella)

martedì 25 settembre 2012

L'esordio di Huffington Post




"Duecento persone (189 ,per la precisione, a questo momento) hanno accettato di tenere un blog per noi, l'Huffington Post Italia. Hanno accettato prima ancora di vederci all'opera, e di poter giudicare il lavoro che faremo. Un atto di incredibile fiducia. Risultato della condivisione di una idea: che è maturo il tempo per aprire uno spazio pubblico di confronto e scontro che includa la massima diversità - di opinioni politiche, di status sociale, di genere, di classe, di fede"

Così presenta il nuovo media  la direttrice Lucia Annunziata.
Uno spazio diverso  per informare in Italia di politica ed economia ma anche di comunicazione ed impegno sociale attraverso il contributo di blogger di varia provenienza che parlano di realtà non sempre messe in evidenza dai media tradizionali.
Questa la scommessa del nuovo Huffington Post da ieri on line.


Precisa ancora Annunziata:
"Questi duecento blogger (e intendiamo far crescere questo numero) sono uomini e donne di destra e di sinistra, religiosi e non, attivisti dei movimenti e intellettuali solitari, gente delle professioni, gente con orientamenti sessuali diversi, leaders politici e operai che tengono con le unghie e con i denti il loro posto nelle fabbriche, personaggi conosciutissimi e perfetti sconosciuti, giovani che faticano a tirare avanti, e giovani che studiano in prestigiose università all'estero. C'è anche una suora.

Nella totale diversità, c'è però un elemento comune, che è poi il criterio su cui noi stessi orientiamo le nostre scelte: ognuno di loro conta non per i suoi titoli, ma perché la sua voce si "ascolta", ha una sua unicità, muove qualcosa. Questa lista è per noi già, in sé, una mappa della società in cui viviamo, le dinamiche oggi in corso. Tra vecchio e nuovo, fra idee e bisogni, fra quel che cade, quel che nasce e quel che si rivela solo illusione. Mappa aggiornata, e da aggiornare continuamente"






domenica 23 settembre 2012

L'alba del Novecento




Per quanto si dica e si ripeta sempre che l'ultimo secolo è stato catastrofico e segnato da indicibili sofferenze, non possiamo sorvolare su un altro importante- e finalmente positivo- contributo del Novecento: la costruzione di una prospettiva di vita in cui la fantasia, il sogno, l'inimmaginabile prendevano  finalmente forma e corpo nel quotidiano dell'uomo comune.

Il Novecento si apre infatti con due straordinarie scoperte destinate a cambiare la vita, nell'esperienza reale e in quella immaginaria, di tutti noi. Gli inventori sono, in entrambi i casi, due fratelli.
Regaleranno al mondo intero, anche se in modo diverso,  il fascino della libertà


ad opera dei fratelli Lumiere




ad opera dei fratelli Wright



Da allora e grazie a loro, lo possiamo ben dire, la nostra vita non è più la stessa.

sabato 22 settembre 2012

Sardegna ieri e oggi



Dal caso di Buggerru del 1904 alle proteste dei  minatori di oggi.
Sulla realtà di ieri e di oggi della Sardegna segnalo l'interessante riflessione riportata nel blog del Centro di gravità permanente ( CGP- iti Angioy Centro di ascolto, informazione e attività creative dell'Istituto Tecnico Industriale G.M.Angioy di Sassari)




domenica 16 settembre 2012

Omaggio a Roberto Roversi



Accendere una sigaretta (fumata dopo sei anni)

il potere agli operai e ai contadini

– si elidono a vicenda sopraffatti

da queste contraddizioni che non distinguono

fra la necessità e il bisogno, fra chi

(si può dire) di una corda che si sfilaccia

trattiene il bandolo e colui che esautorato esausto

si lascia colpire dal canapo alla faccia.

L’affare è grave e merita considerazione

Oggetto di ogni disputa, nel caldo della stanza

mentre fuori si apre al mondo

distrutto dall’acquazzone

e rigurgita una cloaca con la gola di vacca

e si fa notte fra i lampi

e una pietà di noi si distende sopra le forme immobili

(con noi) nell’attesa perfida dello spettacolo

– la consumata mente, l’usura, il sillogismo,

il calembour sul titolo di chi si compiace al caffè –

è

la fine del mondo, un’arca ribaltata,

sulle pianure le ossa della città

– allora tu dici che il momento del contrasto

si invera in una nuova necessità: (questo è il punto),   ognuno di noi che sediamo

sillogizza ma non opera, la disputa si fa arcaica

e tutti noi (il giro del dito è ampio)

degradiamo nella mistificazione.

Accendere una sigaretta.

Sono anni bui o sono anni nuovi?

Per la verità credo che il buio

sia il buio arcigno tetro gelido perfetto

che sia una luce nuova.  


da Le descrizioni in atto, V
 
di

Roberto Roversi (1923-2012)

partigiano, poeta, intellettuale

sabato 15 settembre 2012

Lo sciopero a Buggerru nel 1904




Si trova raramente nei libri di storia eppure si tratta di un fondamentale e drammatico momento della lotta operaia del Novecento in Italia. E' il 4 settembre 1904: a Buggerru, in Sardegna, il nuovo direttore della miniera impone nuovi orari di lavoro ai quasi tremila minatori acuendo il clima di vessazione e abuso.

La “ Socièté anonime de mines de Malfidano” è la  titolare dei diritti di sfruttamento delle miniere di Buggerru e, grazie all’aiuto di potentati pubblici, riesce a impossessarsi di tutti i terreni intorno al paese ed è anche proprietaria degli alloggi e degli spacci, riuscendo a imporre i propri prezzi e a tenere in mano le leve dell’economia locale in regime di assoluto monopolio. I minatori dipendono quindi, anche nei momenti di pausa dal lavoro, dalla società la quale si rimpossessa con gli interessi del magro salario versato ai dipendenti: un giro vizioso che arricchisce l’azienda mineraria e impoverisce i minatori che hanno solo l’impressione di avere un introito fisso, ma in realtà sono indebitati regolarmente proprio con il loro datore di lavoro che diventa arbitro della loro esistenza.

Lo sfruttamento, nonostante arrivi ad altissimi livelli, non soddisfa ancora la proprietà che per poter produrre più utili pensa di diminuire di un’ora la pausa pranzo, costringendo i dipendenti a interrompere il lavoro alle 12 e riprenderlo alle 14 anziché alle 15. E’ palese che in questo modo aumentino le ore lavorative: gli operai sono costretti a cavare le pietre dall’alba al tramonto come nel famigerato periodo medievale.

Stanchi dei soprusi, gli operai incrociano le braccia. Gli scioperanti che sostano davanti alla palazzina della direzione in attesa dei colleghi che stanno discutendo con la proprietà odono dei rumori provenienti dalla falegnameria e, intuendo che qualcuno stia lavorando nonostante lo sciopero, iniziano a gridare: “Crumiri, crumiri. Venduti, venduti”. Numerosi sassi vengono lanciati verso la falegnameria colpendo qualche militare che, forse preso dal panico, apre il fuoco contro la folla caricata poi con le baionette.
Decine di feriti rimangono a terra e tra loro tre morti. Un eccidio gratuito che non ha nessuna giustificazione e che serve a far capire quale è il clima che i poveri lavoratori devono affrontare giornalmente, soli contro tutti, con le autorità istruite dai politici a proteggere la classe imprenditoriale dalla quale ottengono dei vantaggi e dei finanziamenti per le loro campagne elettorali. Uno Stato quindi fondato sulla prepotenza che nulla ha di liberale e che concede il voto solo a chi ha un censo e una istruzione, dimenticando e abbandonando la maggioranza dei cittadini che vive in una condizione di terribile emarginazione.

È la Sardegna dei padroni, dello strapotere di questi nuovi “Feudatari” che con l’imprimatur delle istituzioni ora hanno uomini da gestire, da sfruttare, da impoverire, da minacciare, da distruggere nel fisico e nel morale: questo causa in quegli anni l’abbandono dell’isola da parte di migliaia di disperati che cercano oltreoceano almeno la speranza per una vita migliore. 

Aumenterà così la grande emigrazione che già altre regioni italiane avevano conosciuto.
Intanto il 16 settembre del 1904 esplode il primo sciopero nazionale italiano, solidale con i minatori sardi, che inaugura l'epoca delle lotte e delle rivendicazioni del mondo operaio in un territorio ancora affidato al potere incontrastato di  feudatari e capitalisti.

Giuseppina Azzena segnala sull'argomento il video

DAI FATTI DI BUGGERRU L'EREDITA' DELLA MINIERA

 e il bellissimo romanzo di


Sergio Atzeni "Il figlio di Bakunìn" (da cui è stato tratto anche il

film omonimo di Gianfranco Cabiddu ) che presenta, tra l'altro, la

realtà mineraria della Sardegna tra Ottocento e Novecento.





IL PRIMO SCIOPERO GENERALE IN ITALIA




martedì 11 settembre 2012

Io sono l'ultimo

Voglio cogliere la segnalazione dei nostri amici sardi  del Centro di gravità permanente per ricordare la data dell'8 settembre con alcune testimonianze tratte da "Io sono l’ultimo. Lettere di partigiani italiani (pp. 332, euro 18), testo curato da Stefano Faure, Andrea Liparoto e Giacomo Papi, edito da Einaudi.



Non aggiungo nessuna introduzione, lasciamo che siano le parole della memoria a farsi ascoltare. Da sole.





«Ai ragazzi nelle scuole dico: - Guardate, sono rimasto solo io. Allora diventano piú interessati ancora. Io sono l'ultimo».



Marcello Masini «Catullo», Firenze, 1925, artigiano

«Ventisette anni dopo, una sera del 1971, sento suonare il campanello di casa. Era un tedesco. Dice che ha piacere di parlare con un comandante partigiano. Lo riconosco. E dopo un momento, gli dico: - Lei ha ucciso mio padre».



Carlo Varda «Charles», Chiomonte (Torino), 1925, ferroviere


«Alla mattina ho visto una cassa da morto. Allora mi hanno detto: - Guarda che dobbiamo farti il funerale. Era l'unico modo per portarmi all'ospedale. Avevo un bastoncino per alzare il coperchio. Ma ad Alpignano i tedeschi hanno fermato il carro funebre».



Cesare Mondon «Rino», Collegno (Torino), 1923

«Si chiamava Giambattista, ma il suo nome di battaglia era "Fifa", anche se era coraggiosissimo. È morto nel 1944, a ventitre anni. L'ho saputo sei mesi dopo, a primavera, quando la neve si sciolse sul Monte Caio e il corpo fu ritrovato. Gli porto ancora i fiori. Dev'essere stato importante per me, se mentre ne scrivo me lo rivedo davanti agli occhi. L'unico nostro bacio è stato d'addio».



Anita Malavasi «Laila», Reggio Emilia, 1921, studentessa


«Ai ragazzi dico questo. Pensate le cose impensabili. Si può sopravvivere a una guerra. Si può saltare un cancello alto alto con delle lance acuminate in cima e resistere a un tempo che vuole scambiare la giovinezza con la fame e la morte. Si può scappare dai campi di concentramento in Germania usando un filo di ferro. Si può ritornare a casa quando tutto sembra distrutto e perduto e ricominciare da capo. E sapere, sul treno di ritorno, con le macerie che passano dai finestrini, che a casa ti stanno aspettando tua moglie e tua figlia».

Ferruccio Mazza, Ferrara, 1921, operaio

 
«A novantanove anni, ogni tanto, tendo a cadere. Perdo l'equilibrio e cado. E va bene. Però questa è stata la mia vita e io l'ho vissuta intensamente e con entusiasmo, soffrendo, amando e lottando. E ho continuato a fare. Se no, come si fa?»



Giovanna Marturano, Roma, 1912, studentessa



«In bicicletta si farà un giro di Pisa lasciando una rosa sopra ogni targa. È sempre difficile trovare gente per le commemorazioni, perché da noi gli eccidi piú grandi sono avvenuti d'estate. Ma io credo che qualcuno verrà».



Giorgio Vecchiani «Lungo», Pisa, 1926, impiegato

lunedì 3 settembre 2012

L'Italia dei migranti

L'8 agosto 1991 una nave albanese, carica di ventimila persone, giunge nel porto di Bari. La nave si chiama Vlora. A chi la guarda avvicinarsi appare come un formicaio brulicante, un groviglio indistinto di corpi aggrappati gli uni agli altri. Le operazioni di attracco sono difficili, qualcuno si butta in mare per raggiungere la terraferma a nuoto, molti urlano in coro “Italia, Italia” facendo il segno di vittoria con le dita. La maggior parte di coloro che salirono sulla nave vennero rispediti in Albania ma gli sbarchi continuarono e qualcuno tentò ancora la traversata.

Oggi vivono in Italia quattro milioni e mezzo di stranieri.





In breve questa la scheda del film La nave dolce, documentario di Daniele Vicari appena presentato al Festival di Venezia. Un film che racconta la storia di un paese che ha conosciuto sofferenza, disperazione, miseria ma ha saputo vincere con la solidarietà.

"Il regista italiano, reduce dal successo del film Diaz sui fatti del G8 di Genova, arricchisce la sua filmografia con un'altra pellicola di tema sociale. Questa volta affrontando la tragedia degli immigrati albanesi che pensavano di rifarsi una vita in Italia.
Un episodio tragico che vide i profughi arrivare al porto di Bari affamati e stremati dal viaggio. Molti scesero dalla nave ancora prima che l'imbarcazione fosse ferma in cerca di aiuto e di cure sanitarie. Altri alla conquista di quella libertà tanto vagheggiata dopo decenni di miseria e dittatura comunista. La maggior parte di loro però venne subito fermata e portata dalle autorità italiane dentro lo Stadio della Vittoria di Bari.
Di questi disperati, solo 1.500 circa riuscirono a rimanere in Italia, mentre gli altri furono rispediti a bordo di aerei di Stato in Albania facendogli credere che sarebbero stati trasferiti a Roma. Il sindaco del capoluogo pugliese, Enrico Dalfino, insieme a molti concittadini, diede prova di grande solidarietà, fornendo il proprio aiuto ai profughi.
Vicari per il suo documentario ha raccolto la testimonianza del comandante della nave, Halim Malqi, e di tre persone che allora attraversarono il mare Adriatico sulla Vlora. Tra questi c'era anche Kledi Kadiu, ballerino diventato famoso partecipando ai programmi televisivi di Maria De Filippi, come 'C'è posta per te' e 'Amici'.