martedì 27 settembre 2011

Il trasformismo fu un fenomeno solo italiano?

Il termine 'trasformismo', spiega  Giovanni Sabbatucci nella enciclopedia Treccani on line, entrò nel linguaggio politico italiano tra la fine del 1882 e l'inizio del 1883 per definire, con chiara connotazione polemica, la politica inaugurata in quel periodo dall'allora presidente del Consiglio Agostino Depretis. Per la verità il vocabolo traeva origine da un'espressione pronunciata dallo stesso Depretis in un discorso tenuto a Stradella l'8 ottobre 1882, nell'imminenza delle prime elezioni politiche a suffragio 'allargato', che si sarebbero tenute di lì a due settimane. In risposta a coloro che criticavano gli accordi da lui stipulati in campagna elettorale con la Destra di Marco Minghetti e lo accusavano di aver così snaturato il programma della Sinistra, Depretis si giustificava con una frase destinata a restare celebre: "Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?"

Agostino Depretis
1813-1887

Ecco il programma di Depretis nel
 discorso dell'ottobre 1882


Lo storico liberale Rosario Romeo esamina il trasformismo italiano in una prospettiva storica e politica più ampia del semplice contesto nazionale, ritrovandolo in quei paesi che non erano stati in grado di proporre un sistema bipolare per la presenza interna di gruppi ideologici e forze economico-sociali eterogenei e contrapposti,  che avrebbero reso impossibile un costruttivo confronto parlamentare. Una sorta di centrismo continentale, insomma, diverso dal bipolarismo anglosassone e americano.
"18 marzo 1876. Una data segnata a lutto in molte storie dell'Italia unita. Allora ad una «élite» ristretta ma di superiore livello politico e morale successe nella guida del paese un gruppo dirigente più largo ma di costume e livello più scadente, specchio esso stesso delle molte tare e insufficienze della nazione da poco messa assieme con elementi così disparati. Allora soprattutto dilagò quel male che già dal «connubio» tra Cavour e Rattazzi serpeggiava nell'organismo politico italiano, e che appunto dopo il 1876 prese il nome che gli è rimasto di trasformismo. Come dire uno dei mali storici che più spesso si ricordano tra quelli caratteristici del nostro paese, accanto alla mancata Riforma protestante e alla mancata rivoluzione giacobina, alla questione meridionale e all'eredità della Controriforma. Nel trasformismo, si dice e si ripete, si esprime l'incapacità della vita politica italiana ad assurgere a lotta di principi, la sua perpetua tendenza a scadere sul piano dei personalismi, il sostanziale immobilismo del potere, al quale è sempre mancata, per oltre un secolo, una vera alternativa di governo e dunque una vera ed efficace opposizione, quale richiede l'ordinato funzionamento di ogni regime di libertà. Dal trasformismo si fa anche discendere l'instabilità dei governi, sempre alla mercé di crisi originate dalle manovre di gruppi e di correnti ai danni di altri gruppi e di altre correnti. Nessuna meraviglia che in una struttura di questo tipo le opposizioni abbiano sempre assunto un carattere anti-sistema, e siano state spinte, dalla mancanza di ogni seria prospettiva di essere chiamate ad assumere concrete responsabilità, verso le forme più astratte ed estremistiche di lotta politica. Sotto questa grandine di rilievi la giustificazione storica che del trasformismo diede a suo tempo Benedetto Croce è stata via via respinta sullo sfondo e sempre più dimenticata. Vale la pena di tentare un bilancio. E di ricordare in primo luogo che ciò che da noi si è chiamato trasformismo ha caratterizzato e tuttora caratterizza in Europa, con la più usuale denominazione di centrismo, la vita politica di molte delle democrazie continentali. Il bipartitismo è appannaggio, soprattutto, dei paesi anglosassoni, nei quali del resto, e in particolare negli Stati Uniti, non sono rari fenomeni che sfuggono alla logica del sistema, come mostra la frequente confluenza di voti democratici conservatori con i voti repubblicani, contro le sinistre radicali di ambedue i partiti. In Francia, ha scritto Duverger, solo l'alleanza dei centri moderati ha consentito la convivenza delle due frazioni in cui il paese si è spaccato storicamente dopo il 1789, così radicalmente avversarie da tendere alla reciproca eliminazione in una lotta mortale piuttosto che ad un democratico confronto su basi elettorali e parlamentari. Non è forse accaduto qualcosa di analogo anche in Italia? È difficile immaginare come un solo partito conservatore avrebbe potuto abbracciare, all'indomani dell'unità, i fautori dei vecchi regimi preunitari e del clericalismo a fianco degli uomini della Destra liberale, politicamente identificati sino in fondo con l'unità nazionale. Non meno difficile immaginare come la Sinistra monarchica dei Depretis e dei Crispi potesse far causa comune con coloro che negavano tuttora la legittimità della soluzione monarchica del 1860, che aveva spogliato il partito d'azione dei frutti della sua vittoria nel Mezzogiorno. La stessa esistenza di ciascuna di queste componenti del sistema politico si fondava sulla negazione della legittimità di quelle che le fronteggiavano, ed era dunque impensabile un'ordinata successione di esse alla testa del paese.


R. Romeo, L'Italia moderna fra storia e storiografia, Le Monnier, Firenze 1977





Per saperne di più:


 
e oggi?
 

mercoledì 21 settembre 2011

La macchina dello Stato dal 1861 al 1948

Sarà visitabile dal 22 settembre 2011 al 16  marzo 2012
la mostra " La macchina dello Stato.
Leggi, uomini e strutture che hanno fatto l'Italia", allestita  presso l'Archivio centrale dello Stato di Roma.

Il percorso espositivo si articola su tre filoni. Si parte da una carrellata storica sui primi anni postunitari fino alla crisi di fin secolo, culminata con l'assassinio del re Umberto I, passando attraverso le grandi riforme giolittiane e l'aumento della presenza dello Stato nella vita pubblica. La Prima guerra mondiale e il periodo fascista sono lo spartiacque per arrivare alla tragedia delle leggi razziali e agli orrori della Seconda guerra mondiale. Il cammino attraverso la storia nazionale si chiude, quindi, con la rinascita attraverso la Resistenza e la Repubblica. Con la consulenza storica di Giuseppe Galasso, coordinatore della mostra insieme a Guido Melis, si offrono in mostra documenti straordinari per capire come siamo cresciuti nello Stato e con lo Stato, ricordando i successi tecnologici e culturali ma anche le pagine drammatiche delle guerre e della dittatura.
E' un'esposizione pensata soprattutto per i giovani e per le scuole, facciamole spazio nella programmazione dei nostri percorsi educativi.



Per saperne di più,  ecco una serie di articoli con foto e video esplicativi:







domenica 18 settembre 2011

La visita di Giorgio Napolitano a Palermo

Nel sito del Quirinale è possibile leggere l'intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Convegno organizzato dalla Società Siciliana per la Storia Patria  lo scorso 9 settembre a Palermo. 
Le parole del Capo dello Stato possono guidare una riflessione sulla necessità dell'impegno e del contributo del governo siciliano verso l'unica forma di autonomia possibile, quella della comprensione dei bisogni e delle energie locali da proiettare nella prospettiva unitaria del Paese.

Sottolinea il Presidente:
"Il prof. Villari ha imperniato, a questo proposito, la sua riflessione (e l'ho apprezzato) sulla fondamentale distinzione tra un ambiguo sicilianismo e un autonomismo siciliano di forte impronta liberale che nel Risorgimento si caratterizza come patriottico e unitario, ancorando le battaglie per il riconoscimento del ruolo e delle aspirazioni della Sicilia a un profondo e mai smentito sentimento nazionale(...)"



Lo stesso sito propone, sempre sull' incontro, un video e una galleria fotografica.
 



Il Presidente Giorgio Napolitano con Lucio Villari e Giovanni Puglisi


venerdì 9 settembre 2011

Piazza Garibaldi di Davide Ferrario

E' stato accolto con oltre dieci minuti di applausi dal pubblico della 68a Mostra del Cinema di Venezia il film documentario di Davide Ferrario, Piazza Garibaldi.


L'idea di fondo, dicono gli autori,  è quella di ripercorrere l'itinerario della spedizione dei Mille rintracciando lungo il percorso i discendenti dei garibaldini per verificare cosa è rimasto, a 150 anni di distanza, del senso di quella impresa, allo scopo di scattare una sorta di "istantanea" non ideologica di un secolo e mezzo di identità italiana.

Si parte da Bergamo (insieme "Città dei Mille", perchè fornì il maggior numero di volontari alla spedizione, e oggi roccaforte leghista) per scendere a Pavia, patria dei Cairoli, e Torino che, seppur non diede nemmeno un uomo a Garibaldi, fu il motore politico dell'unità d'Italia. Da lì a Genova e Talamone, tappe storiche della spedizione. E poi una digressione a Caprera, l'isola dell'esilio del Generale.
Quindi la Campania: Napoli e Teano; ma anche il Sannio, l'unico luogo in cui i garibaldini vennero sconfitti da un'insurrezione locale sanfedista e a tutt'oggi culla di un "revisionismo" storico antipiemontese e antiunitario.
Ancora più a sud, in Calabria, sulle tracce dello scontro fratricida tra piemontesi e garibaldini all'Aspromonte.
Infine, la Sicilia: Marsala, Milazzo, Calatafimi, Palermo. Qui il tema, ovviamente, sarà la questione meridionale, vero cancro della storia italiana.

La domanda che attraversa il film è quella che in quest'anno di celebrazioni di vario respiro abbiamo sentito ripetere senza sosta, dal banco del venditore ambulante all'aula universitaria:  cosa significa veramente essere italiani? Sono il cibo, i monumenti e il paesaggio, come dimostra il recente sondaggio di Limes , il vero tessuto connettivo del paese, piuttosto che una storia condivisa? O forse l'Italia non è un "dato di fatto", ma una tensione , ben simboleggiata dal nostro particolarissimo status geologico - siamo il prodotto, relativamente nuovo, dello scontro di due faglie tettoniche, quella africana e quella euroasiatica?
E ancora: in che senso si può parlare di futuro di un paese in cui da molti anni i morti superano i nati? Questo anniversario non assomiglia forse all'ultima fotografia di famiglia della nazione così come l'abbiamo conosciuta?
Infine, cosa cercavano davvero i garibaldini? Cos'era l'Italia per cui erano disposti a sacrificare la vita? Leggendo la loro memorialistica sembra emergere la ricerca quasi psicanalitica di una Grande Madre Mediterranea più che di un ideale politico: un'illusione che si risvegliò bruscamente al contatto con le popolazioni meridionali e la loro condizione.

L'ampio lavoro di ricerca storica ha portato comunque all'identificazione di una quindicina di discendenti garibaldini sparsi per la penisola dalle valli bergamasche a Napoli. Le riflessioni sulla nostra storia e il  nostro destino di italiani restano aperte, il regista sottolinea che "Garibaldi è diventato un eroe, è stato messo sul piedistallo, ma se avesse saputo come sarebbero andate le cose non avrebbe mai fatto quello che ha fatto. Oggi in giro per l'Italia sono tante le targhe delle vie o delle piazze a lui dedicate che vengono distrutte". L'unità degli italiani, insomma, più che storia reale rimane ancora una speranza, impegnati come siamo stati in questi 150 anni più a dividerci e a cercare tensioni che a promuovere un comune tessuto di appartenenza e condivisione.










domenica 4 settembre 2011

Il Risorgimento raccontato a Catania dalla Feltrinelli


Dopo aver girato tutta l'Italia arriva a Catania, dal 3 al 29 Settembre 2011, la mostra "Farsi Italiani" realizzata dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e da Librerie Feltrinelli per celebrare il 150° dell'Unità d'Italia. La mostra si compone di immagini e documenti : caricature, proclami, frontespizi, fotografie e citazioni , materiali rari e spesso sorprendenti. L'insieme delle tavole costituisce allo stesso tempo un percorso divulgativo e una lettura critica per conoscere, e riscoprire, il Risorgimento.

Una formula scelta pensando da un lato alla destinazione prima della mostra, le librerie Feltrinelli di tutta Italia, e dall'altro alla possibilità da parte di scuole e associazioni di "scaricare" le tavole dal sito della Fondazione Feltrinelli e realizzare una propria esposizione.La gran parte delle immagini è tratta dai fondi documentari e librari della Fondazione, integrata in un paio di casi da immagini provenienti dall'Accademia Nazionale di Santa Cecilia e dalla Fondazione Istituto Gramsci.

I criteri con i quali sono state condotte la ricerca dei materiali e la costruzione del percorso espositivo sono stati: la copertura dell'intero arco temporale della vicenda risorgimentale, dal periodo postnapoleonico fino alla proclamazione del Regno d'Italia; la varietà di linguaggi, dalla caricatura alla stampa oleografica, dal ritratto al proclama affisso sui muri delle città; la diversità geografica, anche in funzione del fatto che la mostra viaggia in numerose città italiane.

Proprio per dare il senso della diversità geografica, la mostra è stata concepita in 19 tavole comuni a tutte le destinazioni e una ventesima tavola "volante", realizzata specificamente per ogni singola città che ospiterà la mostra, riportando un'immagine specifica della vicenda risorgimentale cittadina. Ogni tavola quindi riporta un'immagine emblematica del tema scelto, una didascalia scritta da Fondazione, che spiega e racconta il tema della tavola, e citazioni tratte da libri, lettere, discorsi dei protagonisti.

La mostra gratuita è visitabile dal 3 al 29 settembre 2011 presso la
Feltrinelli Libri e Musica di via Etnea 285 a Catania