E' stato accolto con oltre dieci minuti di applausi dal pubblico della 68a Mostra del Cinema di Venezia il film documentario di Davide Ferrario, Piazza Garibaldi.
L'idea di fondo, dicono gli autori, è quella di ripercorrere l'itinerario della spedizione dei Mille rintracciando lungo il percorso i discendenti dei garibaldini per verificare cosa è rimasto, a 150 anni di distanza, del senso di quella impresa, allo scopo di scattare una sorta di "istantanea" non ideologica di un secolo e mezzo di identità italiana.
Si parte da Bergamo (insieme "Città dei Mille", perchè fornì il maggior numero di volontari alla spedizione, e oggi roccaforte leghista) per scendere a Pavia, patria dei Cairoli, e Torino che, seppur non diede nemmeno un uomo a Garibaldi, fu il motore politico dell'unità d'Italia. Da lì a Genova e Talamone, tappe storiche della spedizione. E poi una digressione a Caprera, l'isola dell'esilio del Generale.
Quindi la Campania: Napoli e Teano; ma anche il Sannio, l'unico luogo in cui i garibaldini vennero sconfitti da un'insurrezione locale sanfedista e a tutt'oggi culla di un "revisionismo" storico antipiemontese e antiunitario.
Ancora più a sud, in Calabria, sulle tracce dello scontro fratricida tra piemontesi e garibaldini all'Aspromonte.
Infine, la Sicilia: Marsala, Milazzo, Calatafimi, Palermo. Qui il tema, ovviamente, sarà la questione meridionale, vero cancro della storia italiana.
La domanda che attraversa il film è quella che in quest'anno di celebrazioni di vario respiro abbiamo sentito ripetere senza sosta, dal banco del venditore ambulante all'aula universitaria: cosa significa veramente essere italiani? Sono il cibo, i monumenti e il paesaggio, come dimostra il recente sondaggio di Limes , il vero tessuto connettivo del paese, piuttosto che una storia condivisa? O forse l'Italia non è un "dato di fatto", ma una tensione , ben simboleggiata dal nostro particolarissimo status geologico - siamo il prodotto, relativamente nuovo, dello scontro di due faglie tettoniche, quella africana e quella euroasiatica?
E ancora: in che senso si può parlare di futuro di un paese in cui da molti anni i morti superano i nati? Questo anniversario non assomiglia forse all'ultima fotografia di famiglia della nazione così come l'abbiamo conosciuta?
Infine, cosa cercavano davvero i garibaldini? Cos'era l'Italia per cui erano disposti a sacrificare la vita? Leggendo la loro memorialistica sembra emergere la ricerca quasi psicanalitica di una Grande Madre Mediterranea più che di un ideale politico: un'illusione che si risvegliò bruscamente al contatto con le popolazioni meridionali e la loro condizione.
L'ampio lavoro di ricerca storica ha portato comunque all'identificazione di una quindicina di discendenti garibaldini sparsi per la penisola dalle valli bergamasche a Napoli. Le riflessioni sulla nostra storia e il nostro destino di italiani restano aperte, il regista sottolinea che "Garibaldi è diventato un eroe, è stato messo sul piedistallo, ma se avesse saputo come sarebbero andate le cose non avrebbe mai fatto quello che ha fatto. Oggi in giro per l'Italia sono tante le targhe delle vie o delle piazze a lui dedicate che vengono distrutte". L'unità degli italiani, insomma, più che storia reale rimane ancora una speranza, impegnati come siamo stati in questi 150 anni più a dividerci e a cercare tensioni che a promuovere un comune tessuto di appartenenza e condivisione.
Nessun commento:
Posta un commento