venerdì 13 maggio 2016

Suffragette


“Vuoi che io rispetti la legge? E io voglio una legge che rispetti me”
(dal film Suffragette, 2016)




post di Giovanni Cavallaro, 4 I

 L’emancipazione delle donne in quanto gruppo emarginato dalla vita sociale e politica, escluso e annullato nella sua essenza di umanità e cittadinanza, rappresenta la vittoria della lotta ideologica (ed anche fisica) che il genere femminile ha intensamente combattuto nella speranza e nella prospettiva di vivere in una società inclusiva. Ogni loro singola azione, ogni minima parola spesa, è servita ad imporre lentamente, in barba alla visione maschilista e conservatrice, una più pacifica convivenza, costituita di eguaglianza politica, giuridica e sociale. 

Una battaglia combattuta contro i conformismi della società, in taluni casi nel proprio quartiere, contro gente che, per timore di essere giudicata o per ignoranza, preferiva non esporsi per una causa più che legittima.

In Gran Bretagna, spesso favorito nel progresso dalla combinazione di più fattori (si ricordi la prima rivoluzione industriale), il movimento femminista piantò le sue radici più profonde, e in questo paese ottenne i suoi primi, piccoli ma esaurienti risultati.

Sicuramente la serenità che le donne vivono oggi nella società (sebbene non in tutti i paesi, nella fattispecie quelli orientali) è interamente frutto della tenacia di diversi movimenti, fra i quali quello delle suffragette, e solo a questi bisogna riconoscerne i meriti. 

Il diritto delle donne al voto è stato faticosamente conquistato, anche con il sangue, e non deve perciò diventare un punto d’arrivo; come insegna la storia, il conservatorismo ideologico ha condotto a un deterioramento della civiltà,vanificando la parità che tutti i 
                                           Cittadini dovrebbero acquisire davanti alla Legge.                                                                                                                    


post di Claudia Alessio, 4 I

Giorno 11 maggio 2016 ho assistito, insieme ad alcuni miei compagni, alla visione del film “Suffragette”, scelto da noi ragazzi in base al programma scolastico svolto quest’anno. Il film, che è uscito nelle sale cinematografiche nel 2015, è stato girato, per la prima volta nella storia del cinema, nel palazzo di Westminster, a Londra, dove ha sede il Parlamento del Regno Unito. 

La sceneggiatrice Abi Morgan ha potuto realizzare questo film grazie a pochi diari delle donne alfabetizzate dell’epoca, oltre che a fonti storiche e a fatti realmente accaduti.


La protagonista è una giovane lavandaia di ventiquattro anni, Maud Watts, che da quando ne aveva sette lavora in una lavanderia industriale di Londra di proprietà di Mr. Taylor, un uomo menefreghista che ogni giorno abusa delle proprie operaie. Una mattina Maud, mentre sta svolgendo una consegna, si ritrova involontariamente in mezzo ad una rivolta per il diritto al voto delle donne. Riconosce fra le attiviste una sua collega, Violet Miller, che la incoraggia ad unirsi al movimento. Comincia così per Maud una lunga e pericolosa avventura a fianco di molte donne che da anni combattono per l’emancipazione femminile a fianco di Emmeline Pankhurst, fondatrice ricercata della WSPU(Women’s Social and Political Union). Sono donne che non vengono ascoltate dai giornalisti, che vengono picchiate dai soldati durante le rivolte, donne convinte che cosi non otterranno mai il diritto al voto tanto desiderato. 

Decidono di passare quindi alle maniere forti: attaccano il cuore delle comunicazioni, gettando bombe dentro i bidoni della posta e gli edifici parlamentari vuoti, spaccando le vetrine dei negozi con delle pietre.

Maud viene arrestata per essere stata trovata in mezzo ad una rivolta e proprio per questo viene ripudiata dal marito e gettata fuori di casa, con il divieto di vedere il figlio o di avvicinarsi a lui. Lei però non si arrende e farà di tutto pur di vederlo anche solo per poco tempo; una scena del film molto tenera è quella in cui lei aspetta seduta su una panchina di fronte casa sotto la pioggia che il figlio si affacci dalla finestra e quando ciò accade lei lo fa ridere con delle smorfie.   
Privata del suo amore più grande, Maud trova quindi forza nella lotta politica e diventa anche lei un’attivista. Si reca ad un’importante gara di equitazione, alla quale avrebbe partecipato anche il cavallo del re Giorgio V, insieme ad un’altra rappresentante del movimento, Emily Davidson. Quest’ultima, nel tentativo di sventolare la bandiera delle Suffragette davanti al re, viene travolta dai cavalli e muore. Questo momento è molto significativo, poiché al funerale di Emily, di cui nel film vengono riportate anche immagini reali, parteciparono più di seimila donne e non fu un evento che passò inosservato. 

La questione del voto femminile non poteva più essere ignorata. 

Nel 1928, infatti, viene concesso il diritto al voto per le donne dal Parlamento britannico, ma, come ci fa notare la scaletta alla fine del film, non per tutti i paesi questo diritto arrivò in quell’anno. 

Solo per riportare qualche esempio, in Italia è stato concesso nel 1945, mentre in Arabia Saudita solo nel 2015.

martedì 10 maggio 2016

la Sicilia in guerra



post di Rosita Cipolla, da NewsSicilia




28 aprile 2016
CATANIA – Gli effetti delle guerre globali permanenti sulla Sicilia al centro del seminario tenutosi ieri al Monastero dei Benedettini di Catania, che ha visto come ospite Antonio Mazzeo, giornalista indipendente e peace-researcher. Non una lezione-conferenza passiva, ma uno spazio di discussione aperta e critica: questo l’intento del Laboratorio per l’autoformazione, promotore dell’incontro insieme a Gianni Piazza, docente di Sociologia dei fenomeni politici all’Università di Catania.
 “La Sicilia subisce da diversi anni un forte processo di militarizzazione a causa della sua posizione strategica al centro del Mediterraneo. Proprio nella nostra isola, infatti, sono presenti basi Nato e USA da dove partono velivoli che - con il pretesto di azioni antiterrorismo - di fatto sono impegnati in veri e propri interventi bellici in Paesi come la Libia”: Antonio Mazzeo parla in fretta, senza interruzioni, perché c’è davvero tanto da dire sulla questione e sono davvero pochi coloro che affrontano argomenti caldi come questi con dei giovani universitari.
“Quando si pensa alla militarizzazione nella nostra regione, ci viene subito in mente la base di Sigonella, ma purtroppo non è l’unico aeroporto utilizzato per scopi militari”. Gli esempi infatti sono molti di più: l’aeroporto Trapani Birgi, chiuso nel 2011 per consentire piena libertà ai piloti coinvolti nelle operazioni di guerra in Libia; lo scalo di Pantelleria, classificato come aeroporto militare “aperto al traffico civile” in cui sono state ampliate recentemente le due piste di volo ed ammodernato il mega-hangar ricavato in una collina confinante con l’aeroporto, capace di ospitare sino ad una cinquantina di aerei da guerra; e in ultimo il MUOS, il sistema di telecomunicazioni satellitari della Marina militare USA che contribuisce ad accrescere il rischio di un conflitto anche per un banale errore di elaborazione da parte dei computer.
“La Sicilia partecipa alla guerra ma non ce ne rendiamo conto e da terra di accoglienza e di incontro tra diverse culture si sta trasformando in terra di detenzione e smistamento di migranti” commenta Mazzeo con l’amaro in bocca, accennando al fenomeno della migrazione. La gestione dei migranti infatti è fortemente intrecciata ai processi di militarizzazione che vengono così giustificati con la sicurezza e l’esigenza di identificare chi giunge sulle nostre coste. Inoltre, il linguaggio legato alla guerra e in generale al controllo è cambiato: per esempio, di recente si parla tanto di hotspot per migranti ma ancora c’è poca chiarezza al riguardo.
Il seminario si è svolto proprio il pomeriggio dell’inaugurazione della nuova sede Frontex di Catania, in una città in cui si respirava un clima di tensione, dovuta all’ingente numero di Forze dell’ordine nella zona dell’ex monastero di Santa Chiara. La scelta di inaugurare un ufficio dell’Agenzia Frontex in Sicilia è considerata, da molti attivisti per la pace e in particolare dallaRete Antirazzista Catanese, una scelta gravissima che porterà ad un ulteriore incremento delle violazioni dei diritti fondamentali dei migranti e ad un’ulteriore militarizzazione della Sicilia.