lunedì 30 aprile 2012

PRIMO MAGGIO 2012, FESTA SENZA LAVORO

Il Primo Maggio si prospetta quest'anno in una cornice amara: giornata  di rivendicazioni e di lotte cariche di speranza sin da quando la festa è stata istituita nel lontano 1867, avvertiamo già che da noi sarà accompagnata dallo scoramento e dall'incertezza  dei tanti giovani disoccupati, inoccupati, sottoccupati che ritornano persino a vedere l'emigrazione come la via della speranza per un futuro possibile e dignitoso,  dalla tragedia di tante famiglie rimaste senza risorse economiche per la perdita o la precarietà del posto di lavoro, dal dramma dei suicidi che a macchia d'olio si susseguono ora dopo ora nel paese per la disperazione di chi non riesce a saldare debiti o mandare avanti la propria attività. Si prospetta insomma come la giornata dei non-lavoratori che chiedono, supplicano quasi, di non esserlo più.

Scrive su Repubblica Ilvo Diamanti: "Il Primo maggio, quest'anno, rischia di essere una festa triste per i protagonisti. I lavoratori. Ma anche il lavoro. Come fonte di reddito. Come riferimento dell'identità e come risorsa di promozione sociale. Il lavoro. Principio della Repubblica, sancito dalla Costituzione. Oggi è divenuto incerto. Insieme alla struttura sociale, di cui è base e fondamento.
L'Osservatorio su Capitale Sociale di Demos-Coop 1, infatti, rileva come oltre metà degli italiani (il 53%) percepisca la posizione sociale della propria famiglia "bassa" o "medio-bassa". Il che significa: oltre 11 punti in più rispetto a un anno fa. E soprattutto: quasi il doppio rispetto al 2006. Detto in altri termini, in pochi anni, l'Italia è divenuto un Paese di "ultimi". O, al massimo, di "penultimi". Dove il 37% delle persone insiste a considerarsi parte della "classe operaia" (e il 15% delle "classi popolari"). Anche se pare che gli operai non esistano più.(...)Nel 2003, circa il 40% degli italiani si diceva soddisfatto della condizione economica personale e di quella del Paese. Oggi quelli che esprimono la medesima convinzione sono poco più del 10%. In confronto all'anno scorso: la metà. D'altronde, nell'ultimo anno, il 45% degli italiani afferma di aver tirato avanti a fatica, con il proprio reddito, senza riuscire a metter da parte nulla. Oltre il 40% dichiara, anzi, di aver dovuto attingere ai propri risparmi oppure di aver fatto ricorso a prestiti. Insomma: di essersi impoverito. Non a caso, negli ultimi due anni, il 62% delle persone (intervistate da Demos-Coop) ritiene che la propria condizione economica sia "peggiorata". Questo Paese, più che perduto, appare, dunque, popolato di "perdenti". Gli "ultimi", coloro che si sentono di posizione sociale bassa. I più colpiti dalla crisi. Insieme ai "penultimi", quelli che si dichiarano di classe medio-bassa. Il che significa, soprattutto, i lavoratori dipendenti privati, i pensionati, le casalinghe. La popolazione del Mezzogiorno. Rispetto a qualche anno fa, il ritratto tracciato dall'Osservatorio di Demos-Coop descrive un altro Paese. Un Paese smarrito. Dove la maggioranza delle persone ritiene troppo rischioso investire nel futuro. Dove la fiducia negli altri è, ormai, una merce rara. Espressa da due persone su dieci. Dove, di conseguenza, ci si sente stranieri, perché il "prossimo" si è eclissato e gli "altri" ci appaiono minacciosi. Stranieri fra stranieri.(...) Ci penalizza il deficit di futuro e di comunità. L'incapacità di vedere lontano, di costruire relazioni con gli altri. Nessuno come noi, in Europa, guarda con sfiducia il futuro delle giovani generazioni. Forse perché nessuno come noi, in Europa, è invecchiato tanto e tanto in fretta. Così rischiamo di perderci. Perché la fiducia nello Stato, nel sistema pubblico e nella politica resta bassa. E, anzi, continua a calare. Ma le nostre tradizioni e le nostre istituzioni sociali non ci soccorrono più.


PER SAPERE COME, QUANDO E PERCHE' NASCE LA FESTA DEL PRIMO MAGGIO

L'origine della Festa del lavoro

Dal congresso dell'Associazione internazionale dei lavoratori - la Prima Internazionale - riunito a Ginevra nel settembre 1866, scaturì una proposta concreta: "otto ore come limite legale dell'attività lavorativa".
A sviluppare un grande movimento di lotta sulla questione delle otto ore furono soprattutto le organizzazioni dei lavoratori statunitensi. Lo Stato dell'Illinois, nel 1866, approvò una legge che introduceva la giornata lavorativa di otto ore, ma con limitazioni tali da impedirne l'estesa ed effettiva applicazione. L'entrata in vigore della legge era stata fissata per il I Maggio 1867 e per quel giorno venne organizzata a Chicago una grande manifestazione. Diecimila lavoratori diedero vita al più grande corteo mai visto per le strade della città americana.Il 1° maggio nasce il 20 luglio 1889, a Parigi. A lanciare l'idea è il congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni nella capitale francese :
"Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi".
Al momento di decidere sulla data, la scelta cade sul I maggio. Una scelta simbolica: tre anni prima infatti, il I maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata soffocata nel sangue dalla polizia con decine di morti e feriti, una durissima repressione delle organizzazioni sindacali e otto condanne a morte di esponenti anarchici considerati responsabili della tensione.

In Italia

"Lavoratori - si legge in un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 - ricordatevi il I maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l'Internazionale!".
Il governo di Francesco Crispi , allora in carica, usa la mano pesante, attuando drastiche misure di prevenzione e vietando qualsiasi manifestazione pubblica sia per la giornata del I maggio che per la domenica successiva, 4 maggio. In diverse località, per incoraggiare la partecipazione del maggior numero di lavoratori, si è infatti deciso di far slittare la manifestazione alla giornata festiva. L'iniziativa  ha grande successo: in numerosi centri, grandi e piccoli, si svolgono manifestazioni, che fanno registrare quasi ovunque una vasta partecipazione di lavoratori. Un episodio significativo accade a Voghera, dove gli operai, costretti a recarsi al lavoro, ci vanno vestiti a festa.
Inizia così la tradizione del I maggio, un appuntamento al quale il movimento dei lavoratori si prepara con sempre minore improvvisazione e maggiore consapevolezza, associando istanze di rivendicazione per le otto ore, il diritto al voto, le misure previdenziali e le garanzie a tutela della dignità dei lavoratori




PRIMO MAGGIO 1903



Nella Repubblica Italiana

Il primo maggio del 1947 è segnato dalla strage di Portella della Ginestra, di cui ha scritto l'anno scorso Maria Grazia Le Mura in questo blog, dove gli uomini del bandito Giuliano fanno fuoco contro i lavoratori che assistono al comizio.
Nel 1948 le piazze diventano lo scenario della profonda spaccatura che, di lì a poco, porterà alla scissione sindacale. Bisognerà attendere il 1970 per vedere di nuovo i lavoratori di ogni tendenza politica celebrare uniti la loro festa.
Le trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini ed anche il fatto che al movimento dei lavoratori si offrono altre occasioni per far sentire la propria presenza, hanno portato al progressivo abbandono delle tradizionali forme di celebrazione del 1 maggio.
Oggi un'unica grande manifestazione unitaria esaurisce il momento politico, mentre il concerto rock che da qualche anno Cgil, Cisl e Uil organizzano per i giovani sembra aderire perfettamente allo spirito del 1 maggio, come lo aveva colto nel lontano 1903 Ettore Ciccotti:
"Un giorno di riposo diventa naturalmente un giorno di festa, l'interruzione volontaria del lavoro cerca la sua corrispondenza in una festa de'sensi; e un'accolta di gente, chiamata ad acquistare la coscienza delle proprie forze, a gioire delle prospettive dell'avvenire, naturalmente è portata a quell'esuberanza di sentimento e a quel bisogno di gioire, che è causa ed effetto al tempo stesso di una festa". (dal sito la Repubblica)

Purtroppo quest'anno poco resta per gioire in questa giornata storica così importante per il movimento dei lavoratori, e tanto invece si suggerisce e si propone per una riflessione oculata della classe dirigente che riporti la fiducia in chi sa che dal lavoro e solo attraverso il lavoro può derivare il riscatto del nostro Paese.




















mercoledì 25 aprile 2012

IL VALORE DELLA RESISTENZA IN ITALIA



"Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.”
Piero Calamandrei, 26 gennaio 1955
politico e giurista, 
antifascista tra i fondatori del Partito d'azione
















video, 6 minuti

Ritornano ogni anno le sterili polemiche su come e se ricordare l'anniversario della Liberazione dell'Italia. Questo vano gioco di parole è solo spreco di energie che, oggi più che mai, dovrebbero essere altrimenti e proficuamente utilizzate, è reiterazione di un comportamento che fa appello ad una memoria fragile e immatura, alla confusione d'essere e fare, nella speranza, mai abbandonata da molti italiani, di convincere chi li ascolta e li legge che sia necessario ri-cominciare a scrivere la storia a partire da sè, dalla prospettiva di un presente che purtroppo convince però sempre meno proprio perchè povero di tessuto storico.

Non possono esserci dubbi sul valore della Resistenza che vide la difesa della giustizia e della libertà, principi fondanti non  solo della nostra identità nazionale ma dell'umanità intera.
E vanno dunque spese tutte le energie possibili per ribadirlo e ripeterlo senza sosta: noi siamo nati da quella coraggiosa  pagina della storia, nessun dubbio deve mai esistere sul contributo di chi ha creduto in un'Italia migliore e giusta, nella difesa della libertà di pensiero, di espressione, di partecipazione, nella costruzione di un paese democratico e responsabile.
Solo rispetto e riconoscenza, dunque, per un progetto così nobile e generoso, e  vergogna per chi parla senza conoscere e capire la storia da cui proviene.

TRA I CONTRIBUTI
Per capire  lo spirito e gli ideali dei partigiani è importante rileggere le loro parole nelle ultime lettere inviate alla famiglia e agli amici: appresa la notizia della condanna a morte si dichiarano sereni, tranquilli, hanno fatto quello che sentivano di dover fare non solo per sè ma soprattutto per il loro Paese, invocano perdono per il dolore che la loro morte arrecherà ma chiedono anche di poter accompagnare, compagni dei pensieri e delle azioni, il futuro dei loro cari.
Possiamo dimenticare tutto questo? 




La regista Liliana Cavani raccoglie in questo documentario le testimonianze di alcune donne partigiane



IL 25 APRILE 1945 dal blog

eventi, contributi, riflessioni

Colgo l'occasione per segnalare la sezione del numero di dicembre 2011 di Triangolo Rosso, rivista ANED, dedicata al partigiano Nunzio di Francesco, caro amico e più volte ospite della nostra scuola, scomparso lo scorso anno

PER NUNZIO DI FRANCESCO

domenica 15 aprile 2012

XIV SETTIMANA DELLA CULTURA A GIARRE






IL LICEO LEONARDO PARTECIPA
ALLA XIV SETTIMANA DELLA CULTURA


MERCOLEDI' 18 APRILE
"L'IMMIGRAZIONE A GIARRE E NELL'HINTERLAND"

A CURA DEL GRUPPO DI RICERCA "MIGRANTI"

GALLERIA FOTOGRAFICA

La dirigente scolastica, prof.ssa Carmela Scirè, presenta il nostro contributo
Rosita Cipolla, 5 C



Chiara Puglisi, 5 C

Marilenia Miano, 5C


martedì 10 aprile 2012

Miriam Mafai e le donne della Resistenza

post di Rosita Cipolla, classe 5 C



La morte di Miriam Mafai, intellettuale, scrittrice, giornalista e protagonista coraggiosa della Resistenza italiana, ci riporta ad evidenziare  la presenza costante ed attiva delle donne all’interno dei movimenti partigiani: furono infatti circa 35.000 le partigiane italiane. Esse svolsero diversi ruoli; alcune agirono come combattenti, impugnando le armi, altre contribuirono con azioni più innocue ma certamente indispensabili (come nel caso delle infermiere che si dedicavano alla cura dei malati e dei feriti). Un ruolo fondamentale nella lotta partigiana al femminile fu quello di “staffetta”.Le staffette infatti erano giovani donne che avevano il compito di garantire i collegamenti tra le varie brigate partigiane, mantenere i contatti fra i partigiani e le loro famiglie e trasportare notizie ed armi. Queste donne erano in continuo pericolo poiché non erano armate e dovevano passare inosservate senza destare alcun sospetto nei soldati nazisti. Le staffette si muovevano in bicicletta, a piedi o si nascondevano in treni e camion col cuore in gola ma soprattutto col cuore pieno di coraggio e di speranza per la liberazione della loro patria dal nemico nazista. In tal modo, le donne dimostrarono il loro interesse verso la sorte della loro nazione e verso la politica in genere. Iniziavano a rendersi conto che la politica non è fatta di grandi imprese o propaganda ma di azioni quotidiane, e soprattutto dimostrarono che anche le donne erano in grado di divenire “cittadine attive” nel proprio paese. Quella della staffetta fu una figura molto stimata dai partigiani e dalla popolazione italiana. Nella vicenda delle Fosse Ardeatine, spicca la figura di Carla Capponi, che temerariamente offrì un grande sostegno al compagno Rosario Bentivegna. Iniziando come staffetta, Carla Capponi divenne una partigiana combattente con il ruolo di capitano e per la sue imprese le fu conferita la Medaglia d'oro al valor militare.


Sempre a proposito della partecipazione femminile alla Resistenza, ecco cosa scriveva la partigiana, scrittrice e giornalista Ada Gobetti:

“Nella Resistenza la donna fu presente ovunque: sul campo di battaglia come sul luogo di lavoro, nel chiuso della prigione come nella piazza o nell’intimità della casa. Non vi fu attività, lotta, organizzazione, collaborazione a cui ella non partecipasse: come una spola in continuo movimento costruiva e teneva insieme, muovendo instancabile, il tessuto sotterraneo della guerra partigiana”



martedì 3 aprile 2012

VIA RASELLA 23 MARZO 1944



La morte di Rosario Bentivegna, partigiano autore dell'attacco di Via Rasella contro alcuni  militari nazisti durante l'occupazione di Roma deceduto ieri a quasi 90 anni, ha sollevato ancora una volta il ruolo dell'evento, e dei suoi protagonisti, nella decisione di procedere all'eccidio delle Fosse Ardeatine. Tornare a quei giorni, alle tensioni e alle paure degli italiani bloccati a Roma e sottoposti a perquisizioni, violenze, abusi permette di capire anche il dramma interiore di Bentivegna, costretto ad essere ritenuto, anche a guerra conclusa e non solo da chi si trovava sul fronte opposto, un assassino, o accusato di viltà  perchè non si era consegnato a Kappler per evitare la strage dei 335 italiani. Bentivegna ha ritenuto sempre la sua un'azione di guerra rifiutando la deifnizione di "attentato". L'Italia era occupata e presidiata da un esercito straniero, il re era fuggito a Brindisi con Badoglio lasciando esercito e cittadini allo sbaraglio, gli ebrei prelevati dal ghetto il 16 ottobre 1943 e deportati nei campi di concentramento: i partigiani non potevano rimanere semplicemente a guardare, nè potevano evitare di vedere quanto accadeva.


" Travestito da spazzino, lo studente di medicina (Bentivegna) spinse sino al luogo fissato un carretto carico di 18 chilogrammi di tritolo e di spezzoni di ferro. Aveva riempito la pipa di tabacco e per tre volte l’aveva accesa ritenendo imminente l’arrivo dei soldati tedeschi. L’attesa durò quasi due ore e il commando di partigiani stava rinunciando all’azione finché un quarto d’ora prima delle 16 si udirono passi cadenzati e inni di guerra. Quando i soldati erano vicini, Bentivegna accese la miccia e a passo deciso raggiunse via del Tritone dove lo aspettava con un impermeabile la sua compagna e futura moglie Carla Capponi. Nell’attentato morirono 32 tedeschi, per rappresaglia dopo una serie di convulse telefonate con Berlino, il comando tedesco decise di uccidere dieci italiani per ogni SS caduto. La sentenza venne eseguita alle Fosse Ardeatine, dove le vittime ufficiali, rastrellate tra i detenuti politici, gli ebrei, i comuni, andarono oltre la cifra stabilita: furono 335(...)"
Dino Messina, Corriere della Sera, http://lanostrastoria.corriere.it/