Sempre più raramente si parla dell'Italia come di un Paese di gesti esemplari e di comportamenti virtuosi, anche se di questo avremmo bisogno tutti oggi, e i giovani in particolar modo, pronti come sono a fare le valigie in cerca di speranze per un futuro pulito ma soprattutto positivo, dove non si debba trascorrere il tempo solo a far quadrare un faticoso bilancio o a leggere di corruzione, di soprusi, di iniquità.
Eccola una bella storia nazionale, raccontata da Alessandro Piva nel documentario Pasta Nera, appena presentato al festival di Venezia nella sezione Controcampo italiano, e ricordata da Miriam Mafai nel Venerdì di Repubblica del 26 agosto. La seconda guerra mondiale si è appena conclusa col suo terribile bilancio di stragi, morti e ingiustizie inenarrabili ed ecco che alcune famiglie emiliane e le donne dell'UDI di Ancona si offrono per ospitare centinaia di piccoli orfani e bimbi abbandonati di Cassino e della Puglia per aiutarli a sentirsi ancora figli di un'Italia dignitosa, fiera della sua cultura e dei suoi valori. Raccontiamo anche noi questa storia e facciamola sentire a chi ha urgenza di trovare appigli per credere nel bene che abbiamo saputo fare e che dobbiamo ancora proporre a chi ci sta vicino. Perchè chi ha già fatto le valigie possa desiderare un giorno di tornare e dire con fierezza: ecco, questo è il mio Paese.
La storia
Settemila bambini meridionali, tra il 1945 e il 1952,furono strappati alla fame e alla miseria del dopoguerra, per l'ospitalità generosa di famiglie emiliane e romagnole.Persone, gli ospitanti, non certo ricche, ma operai e contadini, con appena il necessario per vivere. Ma tant'è dove c'era da mangiare per cinque,si poteva mangiare anche per sei. Quei bambini ora hanno settant'anni,molti sono tornati dopo due anni alle loro famiglie, altri sono restati per sempre al Nord ma tutti ricordano con commozione quel viaggio, lungo come una traversata e avventuroso come la scperta di un continente.
Nel clima di collaborazione delle forze anti-fasciste per ricostruire il paese devastato, affamato, profondamente ferito dalla guerra, migliaia di famiglie di lavoratori del centro nord aprirono le loro case a decine di migliaia di bambini provenienti dalle zone più colpite e di più antica miseria del Meridione, ma anche di altre zone martoriate del Paese
L’iniziativa in poco tempo diventò un movimento nazionale proponendo una concezione della solidarietà e dell’assistenza che trovava le sue radici nei valori della Resistenza, indicando soluzioni concrete ai problemi più urgenti, supplendo all’assenza delle istituzioni. Su quelli che vennero chiamati “i treni della felicità” circa 70.000 bambini si lasciarono alle spalle povertà e macerie per vivere l’esperienza dell’ospitalità in un’altra famiglia
Uno dei centri propulsori di questa iniziativa fu l’Unione Donne Italiane che insieme ai comitati che si andarono organizzando in ogni città, riuscirono tra mille difficoltà a riportare quei bambini, partiti laceri e denutriti, nelle proprie case con nuove prospettive. Qualcuno però decise di rimanere.
I protagonisti di questa storia, ormai nonni, ricordano con i loro occhi bambini quest’incredibile esperienza creando un cortocircuito emozionale tra infanzia e anzianità. La memoria storica e un ricordo lucido di uno dei rari esempi di solidarietà tra Nord e Sud del nostro Paese.
Dei bambini ci raccontano una storia. Tutti la stessa, è una cosa strana, sembra quasi non sia successa.
Ricordi che rievocano le terre ospitali e distese al sole della Pianura padana. Oggi questi bambini hanno settant’anni.
A San Severo quando veniva sera s’andava a letto tutti zitti dopo aver mangiato un pezzettino di pane, diviso sette, quello doveva bastarci… una volta la miseria era tanta, era vera, per questo non ce l’ho fatta a tornare giù perché ho visto l’altra faccia della medaglia, anche se ero piccola ho capito che qui potevo stare meglio. Erminia Tancredi ( 5 anni nel 1946).
La prima notte che Franco ha dormito da noi, non riusciva a dormire, si agitava. Io gli ho chiesto – Franco, cos’hai – e lui – non ho sonno – . Il giorno dopo si guardava intorno sospettoso. – Che cosa cerchi? –e lui – niente, niente .- Solo a pranzo quando mangiò per la prima volta le tagliatelle si rilassò e disse – ci avevano detto che qui c’erano i comunisti affamati che mangiavano i bambini. Giovanni Berardi (7 anni nel 1945).
Nel clima di collaborazione delle forze anti-fasciste per ricostruire il paese devastato, affamato, profondamente ferito dalla guerra, migliaia di famiglie di lavoratori del centro nord aprirono le loro case a decine di migliaia di bambini provenienti dalle zone più colpite e di più antica miseria del Meridione, ma anche di altre zone martoriate del Paese
L’iniziativa in poco tempo diventò un movimento nazionale proponendo una concezione della solidarietà e dell’assistenza che trovava le sue radici nei valori della Resistenza, indicando soluzioni concrete ai problemi più urgenti, supplendo all’assenza delle istituzioni. Su quelli che vennero chiamati “i treni della felicità” circa 70.000 bambini si lasciarono alle spalle povertà e macerie per vivere l’esperienza dell’ospitalità in un’altra famiglia
Uno dei centri propulsori di questa iniziativa fu l’Unione Donne Italiane che insieme ai comitati che si andarono organizzando in ogni città, riuscirono tra mille difficoltà a riportare quei bambini, partiti laceri e denutriti, nelle proprie case con nuove prospettive. Qualcuno però decise di rimanere.
I protagonisti di questa storia, ormai nonni, ricordano con i loro occhi bambini quest’incredibile esperienza creando un cortocircuito emozionale tra infanzia e anzianità. La memoria storica e un ricordo lucido di uno dei rari esempi di solidarietà tra Nord e Sud del nostro Paese.
Dei bambini ci raccontano una storia. Tutti la stessa, è una cosa strana, sembra quasi non sia successa.
Ricordi che rievocano le terre ospitali e distese al sole della Pianura padana. Oggi questi bambini hanno settant’anni.
A San Severo quando veniva sera s’andava a letto tutti zitti dopo aver mangiato un pezzettino di pane, diviso sette, quello doveva bastarci… una volta la miseria era tanta, era vera, per questo non ce l’ho fatta a tornare giù perché ho visto l’altra faccia della medaglia, anche se ero piccola ho capito che qui potevo stare meglio. Erminia Tancredi ( 5 anni nel 1946).
La prima notte che Franco ha dormito da noi, non riusciva a dormire, si agitava. Io gli ho chiesto – Franco, cos’hai – e lui – non ho sonno – . Il giorno dopo si guardava intorno sospettoso. – Che cosa cerchi? –e lui – niente, niente .- Solo a pranzo quando mangiò per la prima volta le tagliatelle si rilassò e disse – ci avevano detto che qui c’erano i comunisti affamati che mangiavano i bambini. Giovanni Berardi (7 anni nel 1945).
1945. La guerra è finita e l’Italia è devastata, ma l’entusiasmo della nascente democrazia attraversa il Paese.
A Modena i bambini arrivarono dopo un viaggio faticoso ma accompagnato da continui atti di solidarietà festosa nei vari punti di sosta e senza alcun incidente. Ad attenderci c’era il sindaco con tutta la giunta e i rappresentanti dei partiti del Cln insieme a una folla plaudente. Nonostante le assicurazioni date alle madri non fu possibile distribuire gli indumenti durante il viaggio, sicché molti bambini avevano all’arrivo ancora dei pezzi di cartone ai piedi: affascinati, guardavano la neve cadere lentamente, tanto più che molti tra di loro non l’avevano mai vista. Non pensavano che avrebbero dovuto camminarci sopra per raggiungere i pullman che aspettavano fuori dalla stazione. Si vide allora uno spettacolo indimenticabile: gli uomini che erano in attesa sulla pensilina si precipitarono agli sportelli e portarono i bambini in braccio o sulle spalle fino alle corriere. Nessun bambino mise il piede in terra!
Miriam Mafai storica, giornalista, organizzatrice UDI dei treni romani.
A Modena i bambini arrivarono dopo un viaggio faticoso ma accompagnato da continui atti di solidarietà festosa nei vari punti di sosta e senza alcun incidente. Ad attenderci c’era il sindaco con tutta la giunta e i rappresentanti dei partiti del Cln insieme a una folla plaudente. Nonostante le assicurazioni date alle madri non fu possibile distribuire gli indumenti durante il viaggio, sicché molti bambini avevano all’arrivo ancora dei pezzi di cartone ai piedi: affascinati, guardavano la neve cadere lentamente, tanto più che molti tra di loro non l’avevano mai vista. Non pensavano che avrebbero dovuto camminarci sopra per raggiungere i pullman che aspettavano fuori dalla stazione. Si vide allora uno spettacolo indimenticabile: gli uomini che erano in attesa sulla pensilina si precipitarono agli sportelli e portarono i bambini in braccio o sulle spalle fino alle corriere. Nessun bambino mise il piede in terra!
Miriam Mafai storica, giornalista, organizzatrice UDI dei treni romani.
"I treni della felicità" sono anche su Facebook (con testimonianze, fotografie, video e link):
RispondiEliminahttp://www.facebook.com/pages/I-treni-della-felicità/181302777795
Credo che quello italiano sia un popolo assopito in attesa solo di qualche avvenimento che lo riporti all'antico splendore, serve fiducia e speranza nel futuro. Siamo sempre stati noti per la nostra generosità e per la nostra arte di "arrangiarci", e la storia ci dimostra che siamo anche in grado di rimboccarci le maniche e affrontare con dignità qualsiasi situazione, è accaduto persino quando tutto sembrava perduto ed era impossibile essere ottimisti. Leggere queste storie così toccanti serve a svegliarci da questo sonno metaforico e a guardare avanti con fierezza, perchè siamo capaci di scrollarci la polvere di dosso per tornare finalmente a splendere.
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