venerdì 13 dicembre 2019

la strage di piazza Fontana


"Il 12 dicembre 1969 iniziò per l'Italia una sorta di oscuro, lento, ma comunque micidiale "11 settembre": incominciava cioè la strategia della tensione

Come si tende a fare con i brutti ricordi, si parla poco di quei fatti, ma la strategia della tensione, fatta di bombe nelle banche, di stragi di civili sui treni e nei comizi sindacali, appartiene alla nostra storia recente, e la conoscenza storica può aiutare a non essere più vittime di certe logiche politiche e di potere.



ROMA E MILANO: 5 BOMBE IN 53 MINUTI. Tutto ebbe inizio il 12 dicembre 1969 con le bombe all'Altare della Patria e nel sottopassaggio della Banca Nazionale del Lavoro a Roma, con alcuni feriti. E, in contemporanea, con la terribile bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, in Piazza Fontana, a Milano, che provocò 17 morti e 88 feriti, che mutò radicalmente il pensiero di molti verso le istituzioni del Paese.

Su questa strage sono stati celebrati dieci processi, con depistaggi, fughe all'estero di imputati, latitanze più che decennali, condanne, assoluzioni. Fino alla definitiva assoluzione dei presunti esecutori: Delfo Zorzi, Giancarlo Rognoni e Carlo Maria Maggi. «Ma non dell'area nazifascista che aveva organizzato la strage e di quella parte degli apparati dello Stato con loro collusa, per favorire, attraverso la paura, l'insediamento di un governo autoritario in Italia», afferma il giudice milanese Guido Salvini - che ha condotto l'istruttoria 1989-97 su Piazza Fontana sulla base della quale si sono avute la condanna degli imputati in primo grado (30 giugno 2001) e la loro assoluzione in appello (12 marzo 2004) con conferma dell'assoluzione in Cassazione (3 maggio 2005). 

                                                               Ecco la sua intervista a Focus Storia nel 2006:

12/12, Piazza Fontana: la prima pagina del Corriere della Sera il giorno dopo la strage, il 13 dicembre
12/12, Piazza Fontana: la prima pagina del Corriere della Sera il giorno dopo la strage, il 13 dicembre. | CORRIERE DELLA SERA
Giudice Salvini, nonostante non si sia arrivati alla definitiva condanna processuale di singole persone, Lei continua a essere un testimone della memoria storica su quei fatti. In che cosa consiste oggi questa memoria?
Tutte le sentenze su Piazza Fontana, anche quelle assolutorie, portano alla conclusione che fu una formazione di estrema destra, Ordine Nuovo, a organizzare gli attentati del 12 dicembre. Anche nei processi conclusi con sentenze di assoluzione per i singoli imputati è stato comunque ricostruito il vero movente delle bombe: spingere l'allora Presidente del Consiglio, il democristiano Mariano Rumor, a decretare lo stato di emergenza nel Paese, in modo da facilitare l'insediamento di un governo autoritario.


Come accertato anche dalla Commissione Parlamentare Stragi, erano state seriamente progettate in quegli anni, anche in concomitanza con la strage, delle ipotesi golpiste per frenare le conquiste sindacali e la crescita delle sinistre, viste come il "pericolo comunista", ma la risposta popolare rese improponibili quei piani. Il presidente Rumor, fra l'altro, non se la sentì di annunciare lo stato di emergenza. Il golpe venne rimandato di un anno, ma i referenti politico-militari favorevoli alla svolta autoritaria, preoccupati per le reazioni della società civile, scaricarono all'ultimo momento i nazifascisti. I quali continuarono per conto loro a compiere attentati. Cercarono anche di uccidere Mariano Rumor, con la bomba davanti alla Questura di Milano (4 morti e 45 feriti) del 17 maggio 1973, reclutando il terrorista Gianfranco Bertoli.


Perché non si è arrivati ad avere sufficienti prove sulle responsabilità personali nell'attentato di piazza Fontana?
L'assoluzione definitiva è stata pronunciata con una formula che giudica incompleto, ma non privo di valore, l'insieme delle prove raccolte. Sono esistiti in questa vicenda pesanti depistaggi da parte del mondo politico e dei servizi segreti del tempo. Però non è del tutto esatto che responsabilità personali non siano state comunque accertate nelle sentenze. Almeno un colpevole c'è, anche nella sentenza definitiva della Cassazione del 2005: si tratta di Carlo Digilio, l'esperto in armi e in esplosivi del gruppo veneto di Ordine Nuovo, reo confesso, che fornì l'esplosivo per la strage ed il quale ha anche ammesso di essere stato collegato ai servizi americani.


Digilio ha parlato a lungo delle attività eversive e della disponibilità di esplosivo del gruppo ordinovista di Venezia, di cui faceva parte Delfo Zorzi, assolto poi per la strage per incompletezza delle prove nei suoi confronti, in quanto la Corte non ha ritenuto sufficienti i riscontri di colpevolezza raggiunti. Né sono bastate le rivelazioni di Martino Siciliano, che aveva partecipato agli attentati preparatori del 12 dicembre insieme a quel gruppo, con lo scopo di creare disordine e far ricadere le accuse su elementi di sinistra. Ma nelle tre sentenze risultano confermate le responsabilità degli imputati storici di Piazza Fontana, pure loro di Ordine Nuovo: i padovani Franco Freda e Giovanni Ventura. Essi però, già condannati in primo grado nel processo di Catanzaro all'ergastolo, e poi assolti per insufficienza di prove nei gradi successivi, non erano più processabili. Perché in Italia, come in tutti i paesi civili, le sentenza definitive di assoluzione non sono più soggette a revisione.


Ci può spiegare meglio? Intende dire che Freda…
Sì, se Freda e Ventura fossero stati giudicati con gli elementi d'indagine arrivati purtroppo troppo tardi, quando loro non erano più processabili, sarebbero stati, come scrive la Cassazione, condannati.



Può fare un esempio?
L'elemento nuovo, storicamente determinante, sono state le testimonianze di Tullio Fabris, l'elettricista di Freda che fu coinvolto nell'acquisto dei timer usati il 12 dicembre per fare esplodere le bombe. La sua testimonianza venne acquisita solo nel 1995. Un ritardo decisivo e "provvidenziale" per gli imputati. Fabris nel 1995 descrisse minuziosamente come nello studio legale di Freda, presente Ventura, furono effettuate le prove di funzionamento dei timer poi usati come innesco per le bombe del 12 dicembre.



Le nuove indagini hanno anche esteso la conoscenze dei legami organici fra i nazifascisti, elementi dei Servizi Segreti militari e dell'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'Interno, diretto all'epoca da Federico Umberto D'Amato. E c'è di più: il senatore democristiano Paolo Emilio Taviani, in una sofferta testimonianza resa poco prima di morire e purtroppo non acquisita dalle Corti milanesi, ha raccontato di aver appreso che l'avvocato romano Matteo Fusco, agente del SID, il Servizio Informazioni della Difesa, il pomeriggio del 12 dicembre del 1969 era in procinto di partire da Fiumicino alla volta di Milano in quanto incaricato, seppure tardivamente, di impedire gli attentati che stavano per avere conseguenze più gravi di quelle previste. La missione, non riuscita, confermata dalla testimonianza della figlia ancora vivente dell'avvocato Fusco, che aveva ben presente il rammarico del padre negli anni per non avere potuto evitare la strage, indica ancora una volta che la campagna di terrore non fu solo il parto di un gruppetto di fanatici, ma che a Roma almeno una parte degli apparati istituzionali era a conoscenza della preparazione degli attentati e che cercò solo all'ultimo momento di ridurne gli effetti. Dopo l'esito tragico, si adoperarono per calare una cortina fumogena sulle responsabilità a livello più alto.



La frammentazione delle prove nei tanti processi ha favorito questa cortina fumogena?
Indubbiamente. Ma la ricostruzione dell'accusa, senza effetti, ripeto, su persone non più processabili, è che il gruppo di Freda acquistò valige fabbricate in Germania in un negozio di Padova e comprò i timer, di una precisa marca, che mise nelle valige insieme con l'esplosivo che probabilmente il gruppo veneziano disponeva di propri depositi. Alcune valige furono portate a Roma e consegnate agli esponenti di Avanguardia Nazionale che effettuarono gli "attentati minori". Altri militanti invece raggiunsero Milano con altre due valige esplosive, attesi dai referenti locali di Ordine nuovo. Una bomba alla Banca Commerciale di piazza della Scala non esplose, l'altra, alla banca dell'Agricolura, provocò la strage. Gli obiettivi di Roma e Milano potevano tutti essere interpretati in chiave anti-capitalista e antimilitarista in modo da fare ricadere la colpa sugli anarchici e più in generale sulla sinistra.



Tre giorni dopo la strage un anarchico, Giuseppe Pinelli, volò dal quarto piano della Questura di Milano. Un altro anarchico, Pietro Valpreda, fu incarcerato e indicato come il "mostro" nelle prime pagine dei quotidiani e nei telegiornali. Quando non si pensava nemmeno lontanamente a Internet un gruppo di giovani, in soli sei mesi, scambiandosi informazioni, mise in piedi una contro-inchiesta collettiva raccolta poi in un famoso libro, "La strage di Stato". Che valore ebbe questo loro impegno per le indagini giudiziarie successive?
Fu davvero profetico e quasi propedeutico rispetto agli accertamenti giudiziari avvenuti dopo. Soprattutto, ebbe il merito di smontare rapidamente la pista anarchica, fabbricata apposta da infiltrati di Ordine nuovo, di Avanguardia Nazionale e dei servizi segreti per depistare le indagini e mettere sotto accusa di fronte all'opinione pubblica gli anarchici e, per estensione, gli studenti contestatori e le forze di sinistra impegnate nelle lotte sindacali di quel periodo, preparando così il clima per la svolta autoritaria. Che non ci fu, anche perché la grande stampa, dopo un po', fece suoi molti temi di quel libro inchiesta.


Quali conclusioni si devono trarre da questa storia?
La strage di Piazza Fontana non è un mistero senza mandanti, un evento attribuibile a chiunque magari per pura speculazione politica. La strage fu opera della destra eversiva, anello finale di una serie di cerchi concentrici uniti se non proprio da un progetto, da un clima comune (come disse nel 1995, alla Commissione Parlamentare Stragi, anche Corrado Guerzoni, stretto collaboratore di Aldo Moro). Nei cerchi più esterni c'erano forze che contavano di divenire i "beneficiari" politici di simili tragici eventi. Completando la metafora, i cerchi più esterni, appartenenti anche alle Istituzioni di allora, diventarono subito una struttura addetta a coprire l'anello finale, cioè gli esecutori della strage quando il "beneficio" risultò impossibile poiché quanto avvenuto aveva provocato nel Paese una risposta ben diversa da quella immaginata: non di sola paura, ma di giustizia e di mobilitazione contro piani antidemocratici.



L'anniversario di quei tragici eventi del 12 dicembre 1969 non è solamente "amarezza" o sdegno per la strage e ciò che ne è seguito: è anche un insegnamento per le giovani generazioni, perché la memoria serve anche a ridurre il rischio che simili trame e sofferenze possano nel futuro ripetersi". 




 LA STRAGE DI PIAZZA FONTANA nella cronaca, di Giorgio Bocca



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