sabato 8 marzo 2014

essere donne nel 1799 a Napoli

post di Caterina Calabrese
classe 4 H


Eleonora Pimentel De Fonseca

La bella Eleonora Fonseca,  la quale riunì alle grazie di Saffo 
la filosofia di Platone,  stimata dal Voltaire e dai letterati del tempo, vive e vivrà eternamente;  morirono per sempre i Borbone di Napoli. 
(Mariano D'Ayala)

Una donna coraggiosa, fortificata dalle sofferenze di una vita di coppia infernale, un figlio mancato, un qualche amore impossibile serbato nel cuore, 
una donna a cui quella vita non diede modo di realizzare i desideri più dolci, 
ma le concesse di morire libera e sola, nella sua individualità di donna fuori da quel tempo. 
(Tratto dall’articolo di Antonella Orefice)


Una vita piena, vibrante, percorsa con passo fermo senza mai retrocedere, inseguendo ideali che la
trasformarono da semplice donna intellettuale ad eroina della Rivoluzione Partenopea del 1799 e giornalista e direttrice di indiscusso talento. Così, in sintesi, si potrebbe riassumere la vita di Eleonora Fonseca Pimentel, personaggio del XVII secolo, la cui intelligenza ed estro rimangono nella storia.

A darle i natali nel 1752 fu Roma, dove nacque, in via di Ripetta, dai portoghesi Clemente e Caterina Lopez per poi trasferirsi nel 1760 da Roma a Napoli, al tempo della massima tensione tra la corte di Lisbona e la Curia romana, causata dall'espulsione della Compagnia di Gesù dal Portogallo e dalle colonie, l'ambasciatore portoghese a Roma, al fine di evitare qualsiasi atto di ritorsione, ordinava a tutti i sudditi della Corona di lasciare entro tre mesi i territori dello Stato della Chiesa. Sotto la guida dello zio, l’abate Lopez, la futura rivoluzionaria studiò greco, latino, matematica, fisica, chimica, botanica, mineralogia, astronomia, economia e diritto pubblico. Studi che sarebbero sfociati in opere, traduzioni e dissertazioni in cui già faceva capolino la concezione dello Stato di Eleonora, con idee decisamente in controtendenza per l’epoca riguarda al suo fondamento e fine.

Nel 1778 sposò un generale dell’esercito napoletano, Pasquale Tria De Solis. Ma il matrimonio fu presto rovinato dalla violenza del marito, il quale, tra l’altro, le procurò un aborto per percosse e nel giugno del 1779 perde il figlio Francesco di appena otto mesi, per lui scrisse cinque sonetti, pervasi di disperato amore materno. Nel 1786 si arrivò così alla separazione (il marito sarebbe poi morto nel febbraio 1795).

 Figlio, tu regni in cielo, io qui men resto
Misera, afflitta, e di te orba e priva..
Figlio, mio caro figlio, ahi! l'ora è questa
ch'io soleva amorosa a te girarmi,
e dolcemente tu solei mirarmi
a me chinando la vezzosa testa.
Del  tuo ristoro indi ansiosa e presta
i' ti cibava; e tu parevi alzarmi
la tenerella mano, e i primi darmi
pegni d'amor: memoria al cor funesta!



Fino all’inizio circa della Rivoluzione Francese, Eleonora mantenne ottimi rapporti con i sovrani di Napoli. Da un lato, la poetessa  componeva per loro poesie, odi e sonetti, dall’altro Ferdinando IV sapute le ristrettezze economiche della poetessa, legate alla separazione del marito, le aveva procurato un sussidio mensile, facendola figurare come bibliotecaria della regina Maria Carolina, alla quale era molto legata.
In onore del matrimonio scrive Il tempio della gloria e  per la nascita del loro primo figlio maschio, La nascita  di Orfeo.

 Ma con lo scoppio della rivoluzione francese, i re decisero di mutare la loro politica, mettendo un freno al movimento delle riforme e intraprendendo la via della reazione. Eleonora non chinò il capo ma, invece, si gettò nell’impegno politico per la libertà e il miglioramento delle condizioni di vita delle classi disagiate. Insomma, passò all’opposizione diventando una fervente giacobina, tanto è che arrivò al punto di introdurre durante un ricevimento a Corte alcune copie in italiano del testo della Costituzione approvato dall’Assemblea francese.

Nel 1792, quando i francesi giunsero a Napoli con una flotta per ottenere il riconoscimento della Repubblica francese, Eleonora venne invitata tra gli ospiti e finì sui registri della polizia borbonica. Nel 1798 venne perquisita la sua abitazione, nella quale vennero rinvenute della copie dell’Encyclopèdie di Diderot, che ne causarono l’arresto.

Nel 1799, anno della Rivoluzione Partenopea, i Lazzaroni insorsero e aprirono le porte della carceri dalle quali, insieme ai prigionieri politici, uscirono anche delinquenti comuni e prigionieri politici. Volle allora cancellare dal suo cognome il "de" nobiliare e divenne una protagonista della vita politica della Repubblica Napoletana (della quale salutò l'avvento scrivendo l'Inno alla Libertà).



"Ed Eleonora  che scossa e concitata dagli straordinari avvenimenti, aveva composto in Sant'Elmo un Inno alla libertà, lo declamò tra gli applausi, ripetendo tutti a coro le strofe di odio ai re e di giuramento alla Libertà".
 ( Benedetto Croce).   

Riacquistata così la libertà,  entrò, insieme ad altri giacobini, nel Comitato Centrale. Il Comitato decise di fare pressione sul generale Championnet perché affrettasse la sua avanzata su Napoli, anche per arrestare il dilagare dell’anarchia tra la plebe.

Il 20 gennaio di quell’anno, la Pimentel, alla testa di molte donne, entrò nel castello di San Elmo. Due giorni dopo i patrioti piantarono l’albero della libertà e dichiararono decaduta la dinastia borbonica, proclamando la Repubblica Napoletana “sotto la protezione della grande nazione francese”.

 Ma a Fonseca Pimentel va anche il merito di aver creato un giornale portavoce ufficiale del Governo Provvisorio ma allo stesso tempo indipendente. Si trattava del ‘Monitore Napoletano’, giornale al centro della stampa democratico –giacobina – che ebbe vita breve, dal febbraio all’agosto 1799, ma intensa. Eleonora, anima del giornale, riuscì ad affiancare alla linea di sostegno al Governo anche una linea critica nei giudizi e propositiva.

Nei suoi articoli di fondo, traspariva la preoccupazione di coinvolgere le classi umili di Napoli e della campagna, fino ad allora avverse alla Repubblica. Proprio per questo esortava a fare dei periodici scritti in dialetto, cercando quel ponte linguistico che potesse avvicinare a loro.

Ecco il ritratto del Monitore fatto da Benedetto Croce: “ Non distrazioni, non discorsi di letteratura o astratte discettazioni. Il Monitore va rapido e diritto, tutto assorto nelle questioni essenziali ed esistenziali che si affollarono in quei pochi mesi, i quali per intensità di vita valsero parecchi anni. E in esso ritroviamo le fuggevoli gioie, le ansie sempre rinnovate, i propositi e le aspettazioni dei patrioti napoletani, espressi con la parola della loro virile compagna, con la forma e il colorito individuale che prendevano nell’animo di lei.  


                                Il primo numero delMonitore Napolitano,uscito il 2 febbraio 1799.

Nel maggio del 1799 l’esercito francese si allontanò da Napoli per andare nell’Italia settentrionale. I patrioti rimasero in balia di se stessi. Sono quelli i giorni in cui dal Monitore Fonseca Pimentel esorta a non disperare e rivela il suo desiderio di realizzare l’unità d’Italia. Ma da lì a breve le truppe del Cardinale Ruffo, inviate dai Borbone, a riconquistare Napoli arrivarono alle porte della città. La giornalista si rifugiò a Sant’Elmo e finì nelle liste dei capitolati per i quali era garantito l’espatrio.

Con la fine della Repubblica venne arrestata e il 20 agosto venne impiccata con l’accusa di avere parlato e scritto contro il re violando la capitolazione. Prima di salire sul patibolo, sembra che la rivoluzionaria abbia bevuto il caffè e pronunciato il famoso verso di Virgilio:  
“"Forsan et haec olim meminisse juvabit" (Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo).

Sembra che il popolo abbia cercato, invano, di convincere la donna a gridare "Viva il re". Degli otto condannati, la Pimentel fu l'ultima e, prima di porgere il collo al boia, salutò i suoi compagni già morti. Il corpo della Pimentel fu sepolto, nei pressi del luogo dell'esecuzione in Piazza Mercato, nella chiesa di S. Maria di Costantinopoli, nella Sala del Capitolo Maggiore.

Ma, prima della sepoltura, il cadavere venne, per una giornata intera, lasciato penzoloni, a ludibrio del popolo. Fu questa l'ultima ed atroce offesa recata ad una delle donne più intelligenti, vive e colte del XVIII secolo.



“La penna, è stato forse questo l’unico dono concessole, la penna, l’unica arma che lei seppe usare alla stregua di una spada per sedare la sofferenza di un figlio morto, a difesa ed esaltazione della causa rivoluzionaria.
Ma non sono solo gli scritti di Eleonora che ora ci restano per ricordarla, è il suo esempio di vita, il coraggio con cui si aggrappò a quello che alla fine fu il suo unico e vero bene: la libertà”

Cinematografia

Il resto di niente di Antonietta De Lillo, 2004

La regista napoletana Antonietta De Lillo dirige Il resto di niente, un film capace di descrivere gli umori e le filosofie della sua città in un'epoca di fortissimo cambiamento.
La storia è quella di Eleonora Pimentel De Fonseca (Maria De Medeiros), nobildonna nata nel 1752 a Roma. Di origine portoghese, si trasferisce nel capoluogo campano con la famiglia, vivendo i primi anni della propria vita fra cultura e poesia.
Il fallimento del matrimonio di interesse con il Conte De Solis, seduttore e repressore, rinforza il desiderio di Eleonora di immergersi nella poesia che personalmente scrive, e frequentare i circoli letterari dell'epoca, che per primi diffondevano le teorie liberiste francesi in opposizione all'idea di monarchia. Questo idealismo, che abbraccia con convinzione, la conduce a essere considerata reazionaria, e a essere imprigionata dal regime.

Bibliografia

Benedetto Croce, Eleonora de Fonseca Pimentel, Roma, Tipografia Nazionale, 1887
Mario Forgione, Eleonora Pimentel Fonseca, Roma, Newton & Compton, 1999
Bice Gurgo, Eleonora Fonseca Pimentel, Napoli, Cooperativa Libreria, 1935
Maria Antonietta Macciocchi, Cara Eleonora, Milano, Rizzoli, 1993
Elena Urgnani, La Vicenda Letteraria e Politica di Eleonora de Fonseca Pimentel, Napoli, La Città del Sole, 1998
Enzo Striano, Il resto di niente. Storia di Eleonora de Fonseca Pimentel e della rivoluzione napoletana del 1799, Napoli, Loffredo, 1986; Napoli, Avagliano, 1999; Milano, Rizzoli, 2001, 2004
Nico Perrone, La Loggia della Philantropia, Palermo, Sellerio, 2006 ISBN 88-389-2141-5
Teresa Santos - Sara Marques Pereira (ed.), Leonor da Fonseca Pimentel. A Portuguesa de Nápoles (1752-1799), "Actas do colóquio realizado no bicentenário da morte de Leonor da Fonseca Pimentel", Lisbona, Horizonte, 2001
Maria Rosaria Pelizzari, Eleonora de Fonseca Pimentel: morire per la rivoluzione, Storia delle Donne 4/2008 - «Correrò questo rischio» Sacrificio, sfida, resistenza (Abstract PDF)
Cinzia Cassani, «FONSECA PIMENTEL, Eleonora de», in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, (on line)

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