COSA SIGNIFICA QUESTA DATA
Il 2
giugno 1946 in Italia si svolse il primo Referendum istituzionale.
Gli italiani furono chiamati a scegliere tra repubblica e monarchia. Il voto fu per la prima volta a suffragio universale
con la partecipazione delle donne e l'affluenza fu dell’ 89,1% degli aventi
diritto. Lo stesso giorno si votò per l’Assemblea Costituente, che darà
all’Italia la sua Costituzione alla fine dell’anno successivo. Furono le prime
elezioni libere dopo il fascismo. La campagna per la
repubblica non fu semplice. La guerra di liberazione aveva visto combattere
insieme i comunisti delle brigate Garibaldi, gli azionisti di giustizia e
libertà, il fronte militare di fede monarchica, tutti rappresentati nel Cln e
in contatto con gli alleati e con il governo Badoglio; la democrazia cristiana
aveva deciso di lasciare "libertà di coscienza" ai suoi elettori.
LA PARTECIPAZIONE DEI GIOVANI
“I principali protagonisti della campagna
elettorale furono i giovani, la presenza più visibile nelle manifestazioni con
cartelli fatti a mano, bellissimi con caricature, fotomontaggi, scritte
fantasiose, bandiere, canzoni. Erano loro ad affiggere i manifesti con la colla
casalinga, acqua e farina cucinate dal madri compiacenti, a fare le scritte di
vernice rossa o inchiostro da stampa, se c'era qualche tipografia amica. Erano
loro a distribuire volantini, a animare i dibattiti di strada e a insegnare a
votare. Alla generazione che non aveva mai esercitato il diritto di voto si
aggiungevano gli anziani che lo avevano dimenticato, molti dei quali
analfabeti, e infine le donne. Per la prima volta c'erano donne in lista, per
la prima volta, fra dubbi, perplessità, sfiducia di molti progressisti, tutte
le donne italiane andavano a votare e a loro si poneva, oltre al problema
dell'orientamento politico, quello dell'esercizio materiale del voto. Furono
proprio ragazzi e ragazze a studiare i regolamenti e a spiegare ai coetanei e
ai più anziani, cominciando dalla propria famiglia, «come si vota». C'erano gli
antifascisti riottosi che insistevano per firmare la scheda «perché io non ho
paura di nessuno», repubblicani decisi a cancellare con una croce il simbolo
degli odiati Savoia e soprattutto uomini e donne che temevano di sbagliare, di
confondersi, di farsi vincere dall'emozione e chiedevano di portarsi nella
cabina un congiunto o un compagno più preparato. E per molti amarezza di non poter votare.
Ragazzi di 19-20 anni appena scesi dalle montagne dove avevano combattuto,
comandato formazioni partigiane, subito carcere e tortura, ragazze che avevano
rischiato la vita ogni giorno portando armi, viveri e ordini nelle borse della
spesa, arrancando in bicicletta fra un posto di blocco tedesco e un ponte
crollato, non accettavano facilmente di non essere considerati idonei ad una
operazione semplice e non rischiosa come il voto, di non essere chiamati a decidere
sulla sorte del paese che avevano liberato. Ma si votava a 21 anni compiuti,
bisognava rassegnarsi a insegnare agli altri a votare “( Bianca Bracci Torsi,
ex partigiana)
CHI NON VOTO’
Non poterono votare i circa 3 milioni di cittadini della
Venezia-Giulia, territori che furono ceduti solo l'anno successivo con il Trattato di Parigi del 1947.Non fu possibile
neppure votare per coloro che prima della chiusura delle liste elettorali
(aprile 1945) si trovavano ancora fuori del territorio nazionale nei campi di
prigionia o di internamento all'estero, o comunque non sul territorio
nazionale. Di queste centinaia di migliaia di persone non furono ammesse al
voto neppure quelle rientrate tra la data di chiusura delle liste e le
votazioni.
I
RISULTATI
Il 54,3% degli elettori sceglie
la repubblica, con un margine di appena 2 milioni di voti, decretando la fine
della monarchia e l’esilio dei Savoia. Al Nord Repubblica e Monarchia avevano
ottenuto, rispettivamente, il 64,8% ed il 35,2%. Al centro, il 63,4% ed il 36,6%.
La situazione era rovesciata al Sud, dove la Monarchia si collocava in testa
con il 67,4% contro il 32,6% e nelle
isole, con il 64% contrapposto al 36%. Il capoluogo di provincia più
repubblicano era Ravenna, con una percentuale del 91,2%, che oggi si definirebbe
“bulgara”. Seguiva a ruota Forlì con l’88,3%. Siciliani i comuni più
monarchici: Messina (85,4%) e Palermo (84,2%). I risultati sorpresero un po’
tutti. La maggioranza repubblicana del Centro-Nord era inferiore alle
aspettative, come lo era quella monarchica nelle altre regioni. Qualche
delusione per i monarchici era venuta dal Piemonte, culla della dinastia
sabauda, dove, non soltanto la Repubblica aveva prevalso, ma si era affermata
in tutti i capoluoghi. Ma soprattutto i risultati colpirono perché dalla prova
elettorale sembravano emergere due
Italie, che poteva essere difficile conciliare tra loro e ricondurre ad
unità, almeno dal punto di vista politico e spirituale. La spaccatura tra un
Sud prevalentemente monarchico ed il Centro-Nord repubblicano fotografò la
diversa storia delle due parti del Paese, l’una passata quasi insensibilmente
dal fascismo alla monarchia di Brindisi e di Salerno, l’altra invasa dai
nazisti e liberata dopo venti mesi di
una guerra feroce ( Stefania Maffeo)
LA SECONDA LIBERAZIONE
L’annuncio della
vittoria della repubblica fu come una
seconda liberazione: “mentre i rotocalchi preparavano i servizi fotografici di
Umberto in borghese col solito fatuo sorriso sulla scaletta dell'aereo che ce
lo avrebbe alla fine portato via, giovani e anziani, elettori e non invasero le
strade cantando, gridando, abbracciandosi, sventolando, insieme a tante
bandiere rosse, il tricolore con un gran buco in mezzo al bianco, dove era
stato lo stemma sabaudo” (Bianca Bracci Torsi)
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