L'opposizione al fascismo da parte di singole personalità, di forze politiche, di gruppi e ambienti culturali cominciò a manifestarsi in Italia a partire dall'avvento di Mussolini al potere e ad assumere più rilevante consistenza man mano che apparve chiaro il disegno mussoliniano di creare un vero e proprio regime che impediva qualsiasi forma di opposizione e di dissenso.
A livello politico-culturale i primi e significativi atteggiamenti antifascisti si possono rintracciare nella battaglia condotta da Piero Gobetti, un giovane e lucido intellettuale torinese che attraverso la sua rivista, Rivoluzione liberale, si richiamava ai valori del pensiero liberal-democratico. Aggredito e bastonato a sangue da una squadra fascista decise di riparare a Parigi ove nel 1926 morì prematuramente.
Una chiara e pubblica presa di posizione antifascista da parte della cultura italiana si ebbe il 1 maggio 1925, con la pubblicazione del cosiddetto "contromanifesto" crociano, sottoscritto dai più autorevoli esponenti della cultura e del mondo accademico italiano, a partire da Benedetto Croce, in risposta al manifesto degli intellettuali del fascismo diffuso il 21 aprile 1925.
Altre forme di opposizione si manifestarono, nei primissimi anni del regime, prima di essere costrette al silenzio, soprattutto attraverso alcuni periodici:
a Milano Il Caffè di Parri e Bauer e il Quarto Stato di Nenni, Basso e Rosselli;
a Torino Il Baretti che continuava la battaglia della Rivoluzione liberale di Gobetti;
a Genova Pietre di Dagnino e Antolini;
a Firenze il Non mollare di Rosselli e Calamandrei;
a Napoli L'Antifascista di Sereni;
a Roma molti giovani si raccolsero attorno all'Unione goliardica per la libertà.
Tra coloro che pagarono più duramente la repressione fascista va ricordato Antonio Gramsci, condannato nel 1928, dal Tribunale speciale, assieme ad altri esponenti comunisti, a 20 anni di carcere. Ammalatosi in carcere, venne trasferito in una clinica romana, ove morì nel 1937. Anche Camilla Ravera, tra fondatori, nel 1921, del Partito Comunista d'Italia (PCd'I) prima donna al mondo a ricoprire la segreteria politica di un partito, fu costretta a lasciare il Paese e a vivere clandestinamente in Francia. Nel 1930, di ritorno in Italia, venne arrestata e condannata a quindici anni e mezzo di carcere, che trascorse fino alla fine del fascismo tra carcere e confino.
Tra coloro che subirono condanne da parte fascista va ricordato anche Alcide De Gasperi, segretario politico del partito popolare dal 1924 al 1926, condannato nel 1927 a due anni e mezzo di reclusione per tentato espatrio clandestino.
Gli esuli antifascisti
Per altri uomini politici antifascisti, soprattutto per le figure più significative, la scelta obbligata divenne l'esilio.
Nel 1924 Nitti si rifugiò in Svizzera, mentre Luigi Sturzo, su invito del Vaticano e a seguito di pesanti minacce fasciste, fu costretto a trasferirsi a Londra. A partire dal 1925 dovettero abbandonare l'Italia esponenti della tradizione laica e democratica come Salvemini, Sforza, Ferrero, Gobetti, i fratelli Rosselli, Parri, Pacciardi, i popolari Donati, Ferrari e Miglioli, i socialisti Turati, Treves, Modigliani, Nenni e Saragat, numerosi comunisti, tra i quali Togliatti, che si trasferì a Mosca. Questo esodo non coinvolse solo i più significativi dirigenti politici, ma anche una consistente massa di professionisti, impiegati e operai antifascisti.
Nell'aprile 1927 nacque a Parigi la "Concentrazione antifascista", che raccoglieva socialisti e repubblicani. Sempre in Francia, nel 1929 nacque il movimento di "Giustizia e libertà", su iniziativa di Carlo Rosselli ed Emilio Lussu, con l'obiettivo della costruzione di una democrazia integrale e repubblicana. Si avverte in "Giustizia e Libertà" l'eco delle ultime battaglie di Piero Gobetti e la convinzione di Carlo Rosselli di realizzare un fronte comune tra le forze antifasciste, invitando i socialisti ad abbandonare gli schematismi ideologici marxisti che ne frenavano un inserimento nel quadro di un sistema ad ispirazione liberal-democratico. Questi appelli, tuttavia, trovarono scarsa rispondenza nei vertici del socialismo italiano.
Debole fu il peso numerico dei popolari in esilio, rappresentati da Sturzo, Ferrari, Donati, Stragliati, Russo, Petrone e pochi altri, che tentarono senza successo di ricostituire il partito in esilio, anche se non mancarono significative battaglie, condotte soprattutto da Sturzo con articoli e interventi sulla stampa di tutta Europa. Il loro ruolo va visto soprattutto come testimonianza etico-politica, anche se non mancarono iniziative soprattutto in campo giornalistico, quali Il Corriere degli italiani, fondato da Donati a Parigi nel 1926; il settimanale in lingua francese Observateur, pubblicato a Bruxelles su iniziativa di F.L. Ferrari, del liberale Armando Zanetti e dei socialisti Arturo Labriola e Silvio Bano; la rivista Res Publica, che Ferrari fondò a Bruxelles nel 1931.
I comunisti, dopo aver abbandonato, al congresso di Lione del 1926, le posizioni più estremiste ispirate da Amedeo Bordiga, assunsero una linea più duttile, che prevedeva un centro direttivo all'estero e una attività organizzativa in Italia, soprattutto nelle fabbriche e negli ambienti di lavoro. Questa presenza e questa attività propagandistica clandestina venne pagata a caro prezzo con arresti, processi e condanne.
l'antifascismo italiano
Nato come risposta alle prime violenze dello squadrismo fascista (1919-20), l'antifascismo assunse una sua configurazione più precisa nel periodo che va dalla marcia su Roma (1922), che portò Mussolini alla guida del governo, all'adozione delle leggi 'fascistissime' (1925), che segnarono la definitiva affermazione della dittatura. A fare opera di antifascismo, in questa fase, furono i socialisti, i comunisti, i democratico-liberali, gruppi consistenti di popolari (partito di ispirazione cristiana) e alcuni liberali. Ma l'uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti (1924), che aveva denunciato in Parlamento le violenze commesse dai fascisti, fece precipitare la situazione. Il ritiro (il cosiddetto Aventino) della maggior parte dei deputati antifascisti dal Parlamento non indebolì il regime, che anzi eliminò definitivamente ogni possibilità di opposizione legale. La maggior parte dei dirigenti antifascisti fu quindi costretta a rifugiarsi all'estero (perciò erano detti fuoriusciti). Tra le vittime della repressione e della violenza fasciste vanno ricordati il comunista Antonio Gramsci (arrestato nel 1926 e morto nel 1937), il democratico-liberale Giovanni Amendola e il liberal-rivoluzionario Piero Gobetti (morti entrambi in Francia nel 1926, in seguito alle conseguenze delle aggressioni subite).
Gli anni difficili: la clandestinità
La maggior parte dei fuoriusciti si stabilì in Francia e diede vita a due raggruppamenti: quello costituito dai partiti che avevano preso parte all'Aventino e quello formato dai comunisti; a essi si aggiunse, dal 1929, il gruppo di Giustizia e Libertà, ispirato agli ideali del liberalsocialismo e i cui principali esponenti furono Carlo e Nello Rosselli (assassinati in Francia nel 1937 dai servizi segreti fascisti). I fuoriusciti tenevano i contatti con quel poco di opposizione clandestina che c'era in Italia e nella quale si distinguevano alcuni gruppi di operai comunisti, nonché alcuni intellettuali che avevano il loro punto di riferimento in Benedetto Croce, il filosofo che nel 1925 aveva pubblicato il Manifesto degli intellettuali antifascisti. Fu questa la fase più difficile dell'antifascismo: intraprendere attività antifasciste nel momento in cui il regime sembrava più saldo che mai significava rischiare molto (perdita del lavoro, carcere, confino).
Ma la successiva alleanza dell'Italia con la Germania nazista e l'adozione delle leggi razziali contro gli Ebrei (1938) determinarono, soprattutto tra i giovani, una crisi strisciante del fascismo, che formò il terreno dal quale sarebbe nata la Resistenza.
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