sabato 11 agosto 2012

Da leggere: DOVE FINISCE ROMA di Paola Soriga


Perchè s'inizia la lettura di un romanzo dal titolo strano e di autore sconosciuto? E' capitato tante volte a ciascuno di noi di sentirci attratti da un'opera, cercare il libro per frenetica inarrestabile curiosità, tuffarsi nella lettura senza fermarsi fino ai ringraziamenti dell'ultima pagina, che già da soli dicono tanto su chi ha scritto e sul perchè ha scritto. Il perchè del nostro rapimento l'abbiamo capito solo dopo, a lettura ultimata.

Dove finisce Roma  l'ho "trovato" nelle parole di Corrado Augias durante la sua consueta trasmissione televisiva dedicata alla lettura. E' stata, la sua, quasi una consegna improrogabile. E aveva ragione, non esistono motivi per rimandare questo viaggio tra storia, fantasia, sentimenti.  Paola Soriga è al primo lavoro, giovane donna sarda che dice molto di sè nelle ultime righe dei ringraziamenti conclusivi: "Grazie a tutti quelli che hanno voluto raccontare la Resistenza e i cui lavori sono stati la base di questo romanzo, e soprattutto grazie a chi l'ha fatta, e a chi la fa ogni giorno ancora". Dall'epilogo fuori racconto scaturisce il motivo della sua scrittura agile, ricca, sapiente.
Il resto si scopre leggendo la solo in parte fantasiosa vicenda di bambini e ragazzi che crescono nella Roma della Resistenza eppure nulla o poco sanno della grande storia che sta per essere costruita nel nostro Paese fino a quando non cambiano completamente le loro vite.
Pubblicato solo da pochi mesi, se non lo trovate in libreria potete acquistarlo on line. Poi leggetelo tutto d'un fiato, senza fermarvi. Un alfabeto di sentimenti, con parole nuove eppure così antiche, vi attende. Buona lettura!






Nella grotta canta a voce bassa per sentire almeno la sua voce, per non addormentarsi di nuovo, per darsi un po’ di forza, non pensare all’umido che le entra nelle ossa, non pensare all’odore della pelle che non lava da tre giorni. Smettere di chiedersi perché faccio questo perché facciamo questo cos’altro dovrei fare o potrei fare». Dove finisce Roma di Paola Soriga racconta una storia di bambini nella realtà adulta della guerra.

Ida è bambina quando arriva a Roma con la sorella fresca sposa a un ragazzo che lavora al ministero, è bambina quando conosce Rita che ha la sua stessa età ma i ricci e il seno di una donna, è sempre bambina quando marina la scuola per andare in giro per Roma, in un sabato fascista qualsiasi con Micol, per guardare le chiese, è ancora bambina quando comincia a collaborare, come staffetta, con le brigate partigiane che, in un’aria sottile da fortezza Bastiani, guardano verso Ponte di Nona, in attesa che gli americani giungano e liberino tutti.

I giovani nascosti nelle case, le donne strette in cucina senza più filo nemmeno per rammendare, gli uomini che chissà dove sono andati a finire dopo la mattina in cui i tedeschi se li sono portati via in pigiama. Restituiscano una specie di normalità. Il racconto di Ida, comincia in un sussurro, non col rumore delle bombe che pure sono cadute, non con «le voci disperate delle madri che sono tutte uguali» e nemmeno coi passi concitati della fuga o dell’inseguimento. Ida se ne sta, ferma, appiattita dentro un tunnel di tufo, pensa che qualcuno l’abbia vista, che possano prenderla perché qualcun’altro ha parlato, pensa che se la prendessero potrebbe parlare lei pure.

Così sta nascosta, e nel buio che piano piano le si fa placenta attorno, buio interrotto da Rita che le porta cibo, e da Antonio che un giorno l’ha portata alla trattoria e poi in bicicletta, e pure sottoterra l’ha trovata, racconta la liberazione. Solo che quando la guerra finisce, la giornata sembra qualsiasi, e la normalità irrompe ancora in un sussurro, affannato. «Le dice mi sposo, all’improvviso, ed è nervoso e sudato e quando lei fa per avvicinarsi ancora, lui cambia faccia». Se la guerra è una cappa scura che copre persone e cose, confonde i sentimenti buoni e inspessisce quelli cattivi, allora il posto per raccontarla è proprio una grotta. Il posto una eco. Tempo fermo, luce che manca, rumori che rimbombano, prossimità con i morti propri e quelli altrui.

Paola Soriga, in un italiano struggente, liquido sia nel continuo e preciso cambio di soggetto narrante, di tempo verbale, di dialetto o tono dialettale utilizzato, sia nella punteggiatura essenziale, esatta e musicale, narra il racconto degli ultimi giorni della resistenza a Roma, della fine della guerra e delle illusioni d’amore di Ida. Ida che è venuta dalla Sardegna e che è entrata nella resistenza perché «l’antifascismo è per natura», che ha già perso più uomini e donne di quelli che avrebbe potuto conoscere, se non proprio avere.

Come ne Il cielo è rosso di Giuseppe Berto (Longanesi, 1948) la guerra che pure è paura e perdita risuona come la grande avventura toccata in sorte a tutte quelle fasce sociali che non avevano opportunità di un altrove qualsiasi da aggettivare esotico o appena nuovo. «Se davvero è finita questa guerra pianto una mimosa dietro il cancello». Dove finisce Roma comincia il giardino di un romanzo con una lingua fiorita e una storia che consente a chi legge di vivere una giovinezza reale eppure inventata. Questo è il giardino.

Nessun commento:

Posta un commento