Quando il 27 dicembre 1947 il Presidente Enrico De Nicola promulgò la Costituzione della Repubblica risultò imminente il sopraggiungere di una serie di cambiamenti che nel corso degli anni avrebbero mutato la storia politica e civile dell’Italia. Lasciati alle spalle, ma pur sempre vivi nella mente, i tragici eventi della Seconda Guerra Mondiale intrecciati di distruzioni e occupazioni straniere gli italiani ripartirono dal desiderio di donare alla “propria” Italia libera un ordinamento istituzionale stabile. Scegliendo come punti di riferimento le grandi costituzioni moderne i costituenti realizzarono un iter teorico capace di mettere in risalto il rapporto tra il singolo individuo e la società fino ad abbracciare relazioni più strutturate e complesse.
Da ciò prese forma una Costituzione volta a garantire ogni forma di libertà e a combattere l’uso antidemocratico del potere. Ben nota è la divisione del testo costituzionale nelle sue tre parti. I Primi Dodici Articoli sottolineano il principio della sovranità popolare; nella parte riservata ai diritti civili e politici si specifica come la libertà degli uomini sia un diritto inviolabile; mentre la sezione dei “principi fondamentali”, che è incentrata sull’organizzazione dello Stato tratta del potere legislativo, esecutivo, giudiziario, della figura del Presidente della Repubblica, della Corte Costituzionale e delle Regioni. Riguardo ai principi essenziali della Costituzione Norberto Bobbio espresse interessanti considerazioni specificando come la suddetta fosse costituita e rappresentata da quattro “idee cardinali” quali l’idea liberale, democratica, quella socialista e l’idea del cristianesimo sociale.
L’idea fondamentale del liberalismo, spiegava Bobbio, è che all’individuo appartiene un valore assoluto, indipendentemente dalla società e dallo Stato di cui fa parte; pertanto lo Stato è il prodotto di un libero accordo tra gli individui che mirano ad eliminare il più possibile gli abusi di potere e a garantire la libertà dei cittadini dall’ingerenza dei pubblici poteri. I limiti imposti al potere dello Stato derivano da due tipiche istituzioni quali: il riconoscimento dei diritti naturali dell’individuo, anteriori al sorgere dello Stato, e l’organizzazione delle funzioni principali dello Stato, in modo che esse non vengano esercitate dalla stessa persona o dal medesimo organo.
L’idea democratica a differenza del liberalismo, che prende le mosse dalla libertà individuale, si fonda sull’uguaglianza, secondo la quale il potere deve appartenere non ad uno solo o a pochi, ma a tutti i cittadini. Secondo la teoria democratica, infatti, la sovranità, cioè il potere di dettar leggi e di farle eseguire, risiede nella collettività. Quindi mentre il liberalismo tende a proteggere i diritti civili, come la libertà di pensiero e di stampa, la dottrina democratica sostiene la difesa dei diritti politici che trovano espressione nel diritto di partecipare direttamente o indirettamente alla gestione della cosa pubblica.
Come l’idea democratica anche il principio socialista muove da una aspirazione egualitaria ma reputa formale l’eguaglianza politica e giuridica promossa dalla prima. L’ordine, ad avviso del socialismo infatti, si ottiene combattendo la disuguaglianza politica ed economica, come ad esempio, attraverso l’abolizione della proprietà individuale e l’instaurazione di un regime sociale fondato sulla proprietà collettiva. Quando ormai la diatriba tra le idee liberali e quelle socialiste era divampata prese corpo, verso la metà del secolo scorso, una nuova dottrina politica e sociale: la dottrina sociale della Chiesa cattolica, più nota col nome di Cristianesimo Sociale. Considerando la proprietà come un diritto naturale, la dottrina del cristianesimo ne reclama una più ampia diffusione. Di fronte all’obiezione dei socialisti, però, per i quali la proprietà individuale è fonte di discordia, il cristianesimo sociale risponde distinguendo il diritto di proprietà, che è privato, dall’uso di essa, che è invece sociale.
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