Italia/Jugoslavia anno:1970 durata: 101 minuti -Regia: Francesco Rosi
Sceneggiatura: Tonino Guerra, Francesco Rosi e Raffaele La Capria- dal romanzo di Emilio Lussu, Un anno sull'altipiano -Fotografia (Technicolor): Pasqualino De Santis.
Musica: Piero Piccioni ,Montaggio: Ruggero Mastroianni ,Scenografia: Andrea Crisanti ,Costumi: Franco Carretti
CAST :Mark Freccette (tenente Sassu), Alain Cuny (gen. Leone), Gian Maria Volonté (tenente Ottolenghi), Franco Graziosi, Giampiero Albertini, Pier Paolo Capponi, Mario Feliciani, Daria Nicolodi
Produzione:Francesco Rosi, Luciano Perugia per la Prima Cinematografica (Roma)--Jadran Film (Zagabria)
Tratto dal libro di Emilio Lussu "Un anno sull'altipiano",il film rievoca le vicende di un giovane ufficiale italiano durante la Grande Guerra che lentamente giunge ad una posizione di ripudio della guerra e infine a disubbidire. La figura del giovane tratteggiata dal regista sino alla fucilazione finale in gran parte funzionale alla storia, nasce dalla sceneggiatura del film. Siamo quindi sul Fronte italiano, 1916.
Comandati dal generale Leone i soldati italiani cercano disperatamente, con grande dispendio di vite umane, di conquistare una fortezza austriaca sul monte Fiore.Di fronte all'assurdità del massacro molti militari disertano, altri si procurano volontariamente delle ferite, altri ancora, come il sottotenente Ottolenghi, incitano la truppa alla disobbedienza o,come il tenente Sassu, rivedono criticamente il proprio iniziale entusiasmo. Quando, al culmine dell'esasperazione, i reparti si ribellano rifiutandosi di andare a morte sicura, Sassu (notare l'assonanza con il nome dello scrittore) è con loro e cerca di impedire la decimazione della truppa,verrà poi processato e giustiziato per ribellione.
“Uomini contro” è un film crudo e duro che, nel clima di rivisitazione critica della storia nazionale a ridosso del Sessantotto, denuncia la natura di crudele e inutile massacro del primo conflitto mondiale e la mistificazione di una retorica bellicista che l'ha sempre celebrata come evento glorioso, fondativo della coscienza e dell'unità nazionale.
Il film, però, nello stesso tempo, travalicando la specificità del singolo accadimento storico apre un discorso sulla guerra in sé e critica la mentalità militarista retorica e ideologica che la giustifica ed esalta (il mito dell'eroismo, la bellezza della guerra, la mistica del sacrificio, ecc…) presente quasi sempre ancora oggi.
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RispondiEliminaLo scopo del film è quello di mettere lo spettatore davanti a quella che fu la vera Grande Guerra: non l’eroismo dei generali e il conscio sacrificio dei soldati, ma la spropositata ambizione degli ufficiali e la paura di poveri ragazzi innocenti, gettati allo sbaraglio. Il film non ebbe inizialmente molto successo e fu duramente bocciato dalla critica: i tempi non erano evidentemente ancora maturi e la Grande Guerra era ancora “vicina”. Gli uomini che vi avevano preso parte cercavano di dimenticare l’orrore vissuto, rifugiandosi negli onori e allori riportati dalla vittoria del 4 Novembre 1918.
RispondiEliminaMolto importante la scelta del titolo che il regista lascia volutamente in sospeso affidando allo spettare il compito di coglierne il senso. Molti critici ritengono che il titolo alluda all'opposizione dell’uomo nei confronti della guerra. In realtà potremmo cogliere dei significati più profondi: durante la guerra l’uomo è “costretto” a uccidere altri uomini, non solo dell’esercito straniero ma anche della propria divisione, e dunque del suo stesso popolo, quando venivano accusati di tradimento. Un’altra interpretazione potrebbe essere quella della lotta interiore: durante la guerra ogni uomo si piega, combattendo contro i suoi stessi valori morali.
L'inumanità del conflitto viene enfatizzata dagli ordini ridicoli del generale, quale l’ordine per alcuni soldati di creare varchi nei reticolati nemici, protetti solo da una pesantissima quanto inutile corazza di ferro, detta corazza Fasina, che lascia indifese le braccia e le gambe. Il risultato di quest’azione è fallimentare:gli uomini vengono immediatamente falciati dalle mitragliatrici austriache.
Emerge nel film la grave condizione fisica ma soprattutto psicologica dei soldati, lontani da ogni tipo di affetto e consapevoli di essere condannati a morte, vittime di un’inutile strage. Molto toccante è la scena in cui uno dei soldati preferisce lasciare la trincea, mostrandosi allo scoperto e quindi farsi volontariamente fucilare, piuttosto che continuare a vivere in quelle condizioni.
Fra le figure più importanti distinguiamo quella del tenente Ottoleghi (socialista): il generale Leone gli ordina di fucilare un soldato esploratore, reo di indisciplina e stanchezza quando in realtà aveva solo obbedito agli ordini. Il tenente rifiuta ma successivamente fa sparare in aria da un soldato, fingendo di aver ucciso l’esploratore, mettendo su una barella il cadavere di un soldato già morto. Agli occhi del generale esegue dunque l’ordine.
Quando nella divisione nascono numerose tensioni che porteranno ad una rivolta, il generale Leone chiederà l’aiuto della compagnia del tenente Ottoleghi, che, pur esitando in una prima fase, rifiuta. Il gesto del tenente è molto significativo: rifiutando di scendere in campo mette in pericolo la sua posizione, ma è consapevole che facendolo avrebbe non solo mandato nuovamente e inutilmente la sua compagnia a morire, ma sa di non combattere contro il vero nemico bensì contro gli stessi italiani. In questa scena si vede la figura di un giovane tenente, Sassu, ancora fiducioso nella guerra e nei suoi ideali. Si renderà presto conto degli orrori della guerra e, così come Ottoleghi, ne rimarrà deluso cambiando la sua posizione iniziale: l’entusiasmo svanisce e subentra la consapevolezza politica della natura di classe del conflitto che si risolve in massacro di poveri e sfruttati. Sassu rappresenta la bruciante disillusione di tanti interventisti che nel sangue e nel fango delle trincee divennero consapevoli della folle inutilità di una guerra lontana dagli ideali del Risorgimento nei quali credevano.
RispondiEliminaAlla fine del film il generale Leone ordinerà un attacco alla trincea austriaca: molti soldati verranno uccisi dalle mitragliatrici e gli stessi austriaci, rendendosi conto del numero delle vittime, cessano il fuoco. Il generale, rimasto in trincea, ordina l’avanzata. È qui che il tenente Ottoleghi si volta verso Leone gridando “Eccolo là il nemico, è alle spalle. Soldati alzatevi e spariamo là”.
Un film molto toccante ma contemporaneamente anche molto impegnativo. Rappresenta perfettamente quelle che erano le condizioni della guerra e permette a noi di comprenderle.
Il film “Uomini contro”, con la regia di Francesco Rosi, esce nel 1970. Esso è tratto dal romanzo di Emilio Lussu, "Un anno sull'altipiano", e riesce agevolmente a tradurre in video la testimonianza scritta nel 1938, pur decenni dopo.
RispondiEliminaIl titolo è molto emblematico e lascia allo spettatore il compito di completarlo. Esso si potrebbe riferire all’avversione degli uomini verso la guerra, ma anche a degli “uomini contro gli uomini”, ovvero contro loro stessi, nella disperata lotta per la sopravvivenza. La parola scelta dal regista è proprio “Uomini” e non soldati, pertanto questa predilezione conduce a una riflessione: si intende sottolineare proprio l’essenza dell’individuo stesso, l’essere uomini e non numeri, soldati al servizio di comandanti autocratici e consapevoli delle loro orribili azioni.
Il film è ambientato sull’altopiano di Asiago tra il 1916 e il 1917 soldati italiani e austriaci si fronteggiano nelle opposte trincee. I fanti italiani hanno l'ordine di conquistare delle posizioni, ma i continui assalti vengono respinti e si risolvono in una carneficina. Stanchi di essere mandati allo sbaraglio scoppia un ammutinamento, duramente represso con le leggi di guerra. Viene ordinata la decimazione, alcuni "colpevoli" scelti a sorte vengono condannati a morte. Una sequenza altamente drammatica mostra le fasi dell'esecuzione: i disgraziati vengono legati al palo per essere fucilati mentre un cappellano stravolto tenta inutilmente di confortarli. A poca distanza si notano le bare già pronte. I momenti drammatici si alternano a spunti comico-grotteschi, come quando l'odiato generale Leone, comandante del reparto, in giro d'ispezione, viene condotto a guardare le linee nemiche da un punto di osservazione ottimo ma pericolosissimo perché è tenuto costantemente sotto tiro dal miglior cecchino austriaco. Il generale, ignaro del rischio, solleva la piastra d'acciaio che nasconde la feritoia e guarda a lungo, ma non succede nulla. Appena si allontana i soldati imprecano delusi e uno di essi fa la prova: apre lo spioncino ed espone un fuscello, subito tranciato da una precisa fucilata.
Ciò che colpisce lo spettatore interiormente e che innesca una particolare riflessione, sono le precarie condizioni dei soldati nelle trincee, luoghi angusti, malsani. I nostri uomini sono stremati, al freddo e condotti a una stato di sopravvivenza terribile.
Di impatto risulta il modo in cui alcuni soldati, ormai stanchi dell’esasperante vita condotta, stravolti dalle lontananze familiare che nemmeno il fronte interno riesce a colmare, si lancino loro stessi verso la morte, oltrepassando la posizione, consapevoli della propria fine.
In conclusione, questo sogno bellico, nazionalista quali conseguenze ha condotto? La guerra è solo sinonimo di decimazione, logoramento, morte. Ciò che si dovrebbe alimentare non è lo scontro bensì il confronto, gli uomini sono tali in quanto possiedono la facoltà della ragione e l’espressione del pensiero attraverso la parola. Se ci fosse più dialogo, si potrebbero sicuramente evitare le continue perdite e gli inutili massacri che la guerra porta con sé. La migliore arma dell’uomo, sarà sempre la PAROLA.