venerdì 1 giugno 2012

NASCE LA REPUBBLICA ITALIANA

 




Il 2 giugno del 1946 si completa il processo di liberazione dell'Italia, con la nascita di una società civile che chiede di esprimersi sul futuro del paese. Ricordare quel momento, in questa fase di disaffezione alla politica e alla partecipazione pubblica, non può dunque essere solo retorica celebrativa, deve essere opera di coscienza civile che si appella a ciascuno di noi per salvaguardare le conquiste democratiche così faticosamente e drammaticamente raggiunte.

Sottolinea lo storico Giovanni De Luna, professore di Storia contemporanea presso l'Università degli Studi di Torino:
"Il nesso tra il 2 giugno e il 25 aprile acquista un significato preciso: la forza delle istituzioni repubblicane nate dopo il referendum si è nutrita di una legittimazione popolare scaturita direttamente dal momento più drammatico vissuto nella nostra storia unitaria. Per la prima volta (non era capitato neanche con il Risorgimento) forme di governo e assetti istituzionali si sono definiti sulla base di un ampliamento netto della partecipazione politica (alle elezioni del 1946 votò il 90% degli italiani, nel 1921, nelle ultime elezioni libere, solo il 58.4%) e a partire dalle scelte consapevoli dei settori più dinamici della società civile(...)  La scelta per la Repubblica scaturì direttamente dalle giornate di aprile e il risultato del referendum fu la sanzione istituzionale di un processo dal basso, spontaneo: mai nella storia d'Italia si è registrata una così vasta partecipazione popolare a un evento militare e bellico; per la sua ampiezza, la dimensione volontaria del partigianato non ha precedenti né nell'Italia del Risorgimento, né in quella della Prima guerra mondiale, né in quella fascista, compresa Salò. Certo che la zona grigia di quelli che restarono inerti e passivi ad aspettare "che passasse la nottata" fu molto più estesa; certo che al Sud questa spontaneità fu sporadica e occasionale. Ma la memoria e l'identità di un Paese si costruiscono sui punti alti della sua vicenda storica, e sono sempre state le minoranze a riscattare l'inerzia delle maggioranze(...)
Fu questo intreccio tra la spinta dal basso e il sistema dei partiti a dare slancio e vitalità a una Repubblica che si supponeva gracile e macilenta e, poi, a garantire a questo paese stabilità e progresso per molti decenni".


Non lasciamo che tutto questo vada perduto
per ignoranza, indifferenza o superficiale lettura del passato.




dal nostro blog




documentario dell'Istituto Luce sul referendum


in La storia siamo noi



Dai giornali di quei giorni:

Il referendum istituzionale: gli italiani scelgono tra monarchia e repubblica

Monarchia o repubblica? Si vota. È il giorno del referendum istituzionale. Gli italiani sono chiamati a scegliere tra monarchia e repubblica. E insieme ad eleggere i componenti dell’Assemblea costituente che dovrà scrivere la nuova Costituzione. Si vota oggi, fino alle 22, e domani mattina fino a mezzogiorno. È la prima, grande consultazione nazionale dell’Italia libera. Gli aventi diritto al voto sono circa 28 milioni. Non votano i cittadini dell’Alto Adige e della Venezia Giulia, non ancora tornati totalmente sotto la sovranità italiana.

Le donne votano per la prima volta, o quasi.
Per la prima volta in Italia votano in una consultazione elettorale nazionale anche le donne. È già successo in primavera, tra il 10 marzo e il 7 aprile, ma si trattava di elezioni locali (erano andati a votare, in 5.722 comuni, 7.862.743 uomini e 8.441.537 donne).
Oggi a Roma, dove non ci sono state nemmeno le amministrative di primavera, le donne ai seggi si sono subito rivelate in netta maggioranza sugli uomini. Il diritto di voto alle donne è stato riconosciuto da un decreto emanato dal governo Bonomi il 31 gennaio dello scorso anno, con il Paese diviso e il Nord ancora sotto l’occupazione tedesca. [Nu. Cds, 2/6/1946, Av. 4/6/1946, camera.it]

“Tutti alle urne!” esorta il Corriere della Sera
«Tutti alle urne! E tutti alle urne con serietà, con compostezza, con calma e con un gioioso senso d’orgoglio. Sì, siamo orgogliosi di aver finalmente ritrovato noi stessi; orgogliosi di essere ancora dei cittadini (...)». È l’inizio dell’editoriale non firmato pubblicato dal Nuovo Corriere della Sera in prima pagina.

Come si vota al referendum.
Il voto per la repubblica o per la monarchia si dà con la scheda per il referendum segnando una crocetta nel quadratino posto di fianco al distintivo: la donna turrita sullo sfondo dell’Italia per la repubblica, lo stemma sabaudo, pure con lo sfondo dell’Italia, per la monarchia. Il voto di lista per la Costituente si dà segnando una crocetta nel quadratino che si trova accanto al distintivo di ogni lista e che porta il numero della lista stessa. [Nu. Cds 2/6/1946]

Senza rossetto nella cabina elettorale.
Al seggio meglio andare senza rossetto alle labbra. Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio. Perché, come ha scritto Dorothy Thomson, «non è azzardato affermare che saranno le donne a far pencolare la bilancia in favore della monarchia o della repubblica». [Nu. Cds 2/6/1946]

Lunghe code davanti ai seggi.
Grande fermento ovunque, nelle città e nei piccoli centri. Gli italiani sono impazienti di tornare a votare dopo oltre vent’anni, o di votare per la prima volta: fin dalle prime ore del mattino si formano lunghe code ai seggi. A Torino gli elettori sono in fila già fra le 3 e le 4, a Roma alle 5, assai prima che le sezioni aprano i battenti. A Firenze a mezzogiorno e mezzo ha già votato il 50 per cento. Nella capitale si calcola che quattro quinti degli elettori si siano presentati alle urne contemporaneamente, nella mattinata. Non ci sono state differenza di età o cattive condizioni di salute a moderare l’afflusso. Le donne, numerosissime, le più pazienti: «Abituate alle estenuanti file della guerra, quest’ultima è sembrata fatica leggera e sopportabile». A Roma l’affluenza ha toccato il massimo a mezzogiorno, e l’attesa è sembrata più lunga anche per colpa del sole. Qualche donna è svenuta per stanchezza. Alle 22, ora di chiusura dei seggi in questa prima giornata elettorale, l’affluenza alle urne è molto alta: tra l’80 e il 90% in alcune sezioni di Milano, l’85 a Pavia e Piacenza, l’82% a Firenze, a Roma il 67% (quando mancano ancora i dati di alcune decine di sezioni), sopra il 60% a Napoli.
[Mes. 4/6/1946, Av. 4/6/1946]


consulta la nostra sezione di approfondimenti

VIVA LA REPUBBLICA

LE DONNE DELLA REPUBBLICA
le biografie delle 21 donne elette nell'Assemblea Costituente
a cura della classe 5 C a.s. 2010-2011

8 commenti:

  1. Eccellente ricostruzione storica.
    Complimenti!

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  2. Vorrei segnalare un periodo significativo della storia repubblicana.
    Come per la partecipazione alla campagna elettorale del 1946, i giovani, e in particolar modo gli studenti, furono protagonisti della lunga stagione di proteste che ebbe inizio a partire dal 1967.
    Nel 1961 era stato aperto l’accesso alle facoltà universitarie scientifiche anche ai diplomati degli istituti tecnici, e nel 1962, con una un’importante riforma, era stata introdotta la cosiddetta Scuola media unica, identica e obbligatoria fino ai 14 anni per tutti i ragazzi. Alla luce di tali provvedimenti, in Italia crebbe in modo significativo il numero di studenti che proseguivano gli studi fino al livello universitario, nonostante le strutture universitarie non fossero preparate ad accogliere un simile incremento. Fu per questo che nell’autunno del 1967 esplose il malcontento studentesco: numerose sedi universitarie vennero occupate da studenti che, rimanendo all’interno degli edifici giorno e notte, discutevano ed elaboravano documenti di analisi sociale nei quali chiarivano le proprie posizioni politiche e le loro proposte per un sistema scolastico migliore.
    Così, se in un primo momento le contestazioni nacquero come protesta per l’incapacità organizzativa del sistema universitario, in un secondo momento (a partire dal 1968) la contestazione assunse caratteri politici, con l’obiettivo di entrare in contatto con la classe operaia in modo da organizzare una rivoluzione proletaria, seguendo il modello russo. Così nel 1969 la protesta si estese alla classe operaria ed ebbe inizio il cosiddetto “autunno caldo” che vide in netta contrapposizione gli industriali e gli operai. A seguito di queste lotte, gli operai ottennero cospicui aumenti salariali, miglioramenti volti a rendere gli ambienti di lavoro più sicuri e, nel 1970, l’approvazione al Parlamento dello Statuto dei Lavoratori, documento che vietava ogni abuso di potere al’interno delle fabbriche da parte dei padroni.
    Possiamo ancora sperare di conservare queste conquiste?

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  3. Voglio segnalare quanto don Luigi Ciotti del gruppo Abele ha detto ieri nella Festa della Repubblica di Casanova Lerrone: "Una volta c'era la Resistenza, oggi invece ci troviamo di fronte alle Resistenze. La presenza criminale è dentro le fessure della nostra societa'. Le mafie continuano a uccidere e seminano tanti morti e a molte persone viene privata la liberta'. La corruzione pubblica è il cancro del nostro Paese così come l'usura, il pizzo, la droga. Dietro tutto questo c'è anche sfruttamento, schiavitù e mi riferisco alla prostituzione. Le mafie hanno radici al sud ma oggi sono al nord. Moltissimi i Comuni commissariati. Dobbiamo lavorare allora per la democrazia con la responsabilità che chiediamo alle forze delle politiche e a noi stessi".

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  4. Fra i diversi momenti dell'Italia repubblicana, l'evento che voglio seganlare è la strage del 2 Agosto1980, in quanto un membro della mia famiglia si trovava in quel luogo poche ore prima del tragico evento.
    Il 2 agosto 1980 alle 10:25, nella sala d'aspetto di 2ª classe della stazione di Bologna, affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, esplose, causando il crollo dell'ala ovest dell'edificio. L'esplosivo, di fabbricazione militare, era posto nella valigia, sistemata a circa 50 centimetri d'altezza su di un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell'ala ovest, allo scopo di aumentarne l'effetto;l'onda d'urto, insieme ai detriti provocati dallo scoppio, investì anche il treno Ancona-Chiasso, che al momento si trovava in sosta sul primo binario, distruggendo circa 30 metri di pensilina ed il parcheggio dei taxi antistante l'edificio. L'esplosione causò la morte di 85 persone ed il ferimento o la mutilazione di oltre 200. La città reagì con orgoglio e prontezza: molti cittadini, insieme ai viaggiatori presenti, prestarono i primi soccorsi alle vittime e contribuirono ad estrarre le persone sepolte dalle macerie e, immediatamente dopo l'esplosione, la corsia di destra dei viali di circonvallazione del centro storico di Bologna, su cui si trova la stazione, fu riservata alle ambulanze ed ai mezzi di soccorso.Dato il grande di numero di feriti, non essendo tali mezzi sufficienti al loro trasporto verso gli ospedali cittadini, i vigili impiegarono anche autobus, in particolare quello della linea 37, auto private e taxi. Al fine di prestare le cure alle vittime dell'attentato, i medici ed il personale ospedaliero fecero ritorno dalle ferie, così come i reparti, chiusi per le festività estive, furono riaperti per consentire il ricovero di tutti i pazienti.L'autobus 37 divenne, insieme all'orologio fermo alle 10:25, uno dei simboli della strage.
    Nell'immediatezza dell'attentato la posizione ufficiale sia del Governo Italiano, allora presieduto dal Senatore democristiano Francesco Cossiga, sia delle forze di polizia fu quella dell'attribuzione dello scoppio a cause fortuite, ovvero all'esplosione di una vecchia caldaia sita nel sotterraneo della stazione; tuttavia, a seguito dei rilievi svolti e delle testimonianze raccolte sul luogo dell'esplosione, apparve chiara la natura dolosa dell'esplosione, rendendo palese una matrice terrorista, che contribuì ad indirizzare le indagini nell'ambiente del terrorismo nero.
    La più grande strage italiana in tempo di pace. Ottantacinque morti, più di duecento feriti. Tra presunte rivendicazioni e smentite, dopo 21 anni di udienze e 15 processi, per la magistratura esiste una sola ed unica verità: quella della destra eversiva con a capo Valerio Fioravanti che intendeva colpire al cuore Bologna la rossa. Fu l'attentato più tragico e sanguinoso della storia del nostro paese, un evento che lascia molti interrogativi ancora aperti, su cosa e' davvero successo quel sabato d'agosto a Bologna.

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  5. Io vorrei segnalare questo curioso evento.
    Il 5 maggio del 1948 dopo ottocento bozzetti presentati da circa 500 cittadini fra artisti e dilettanti e un percorso creativo lungo due anni, l’Italia repubblicana ha il suo emblema, comunemente chiamato “Stellone”.
    La vicenda ebbe inizio nell’ottobre del 1946 quando il Governo De Gasperi istituì un’ apposita Commissione, che decise di bandire un concorso nazionale aperto a tutti, basato su poche tracce: esclusione rigorosa dei simboli di partito, inserimento della stella d'Italia, "ispirazione dal senso della terra e dei comuni". Ai primi cinque classificati sarebbe andato un premio di 10.000 lire. Il vincitore risultò essere un professore di ornato all’istituto di Belle Arti di Roma, Paolo Paschetto, il cui elaborato fu sottoposto a ulteriori ritocchi da parte dei membri della Commissione: il 5 maggio del 1948 il Presidente della Repubblica Enrico de Nicola firmò il decreto legislativo n°535, che consegnò all’Italia il suo simbolo. Pubblicato, insieme al disegno, sulla «Gazzetta Ufficiale» del 28 maggio, descrisse così lo stemma: «L’emblema dello Stato, approvato dall’Assemblea Costituente con deliberazione del 31 gennaio 1948, è composto di una stella a cinque raggi di bianco, bordata di rosso, accollata agli assi di una ruota dentata, tra due rami di olivo e di quercia, legati da un nastro rosso, con la scritta di bianco in carattere capitale ‘Repubblica Italiana’».
    L’emblema della Repubblica Italiana è, infatti, caratterizzato da tre elementi: la stella, la ruota dentata, i rami di ulivo e di quercia.
    La stella è uno degli oggetti più antichi del patrimonio iconografico italiano (compare come attributo dell’Italia già dal Cinquecento) ed è sempre stata associata alla personificazione dell'Italia, sul cui capo appunto, una stella splende raggiante.
    La ruota dentata d'acciaio, simbolo dell'attività lavorativa, traduce il primo articolo della Carta Costituzionale: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro".
    Il ramo di ulivo simboleggia la volontà di pace della nazione, sia nel senso della concordia interna che della fratellanza internazionale, mentre la quercia incarna la forza e la dignità del popolo italiano. Entrambi sono espressione delle specie più tipiche del nostro patrimonio arboreo.

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  6. Mi ha sempre incuriosito la figura di Bettino Craxi, Presidente del Consiglio Italiano negli anni Ottanta ed esponente del Partito Socialista. Tuttavia, per vari motivi, non ho mai avuto modo di approfondire la sua figura, ma ho deciso di farlo oggi. Ho consultato varie fonti e ho scritto questo breve commento che vede come protagonista proprio Craxi, dalla sua ascesa al potere alla latitanza in seguito all'inchiesta Mani Pulite del 1992 che segnò il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Nel 1976, un articolo sull'Avanti! del segretario socialista Francesco De Martino causò la caduta del governo Moro, provocando le successive elezioni anticipate che si conclusero con il flop del Partito Socialista. I dirigenti del partito decisero allora di nominare un nuovo segretario capace di dare un nuovo slancio al movimento socialista segnato dalla crisi: si optò per Bettino Craxi. La scelta di Craxi fu frutto di una mediazione fra le varie correnti socialiste che si presentavano fortemente frammentate e quindi incapaci di far emergere un segretario, appoggiato da una solida maggioranza. L'azione di Craxi venne aspramente criticata dalla sinistra interna, ma trascinò il partito all'ottimo risultato raggiunto alle elezioni del 1983 anno in cui Craxi chiese e ottenne la presidenza del Consiglio. Fu il primo socialista che ci riuscì. Il primo governo Craxi era sostenuto dal Pentapartito, un'alleanza nata da una comune identità di vedute, ma dall'opportunità, fortemente sfruttata da Craxi, offerta dal capovolgimento delle alleanze tra le correnti della Democrazia Cristiana: i comunisti erano infatti fuori dal governo. Nonostante ciò, il suo governo fu uno dei più lunghi nella storia della Repubblica. Di seguito alcuni punti della politica interna del governo Craxi: il nuovo concordato con la Santa Sede, tramite il quale veniva istituito il contribuito dell'8 per mille per i finanziamenti alla Chiesa cattolica, la battaglia agli evasori fiscali nel commercio al minuto, che produsse l'obbligo del registratore di cassa e dello scontrino fiscale e il "decreto Berlusconi", che stabilì la legalità delle trasmissioni delle televisioni dei grandi network privati, ma suscitò anche aspre critiche nel Paese. Dal maggio 1992 l'inchiesta "Mani Pulite" investì non solo la realtà milanese ma tutta la classe politica nazionale, tanto da spingere Craxi il 3 luglio 1992 alla Camera, a chiamare in correità tutto il Parlamento dichiarando «spergiuro» chi avesse negato di non aver fatto ricorso al finanziamento illecito dei partiti.
    Se è vero che la corruzione ormai dilagava nella prassi politica, è anche vero che chi stava al governo e chi il governo lo sosteneva ne aveva fatto uso più spregiudicato e diffuso. Si parlerà di quel periodo come della "Milano da bere". Varie furono infatti le accuse della magistratura, impegnata nell'opera di moralizzazione del costume del Paese, a carico di Craxi e dei craxiani. L'impotenza politica di Craxi si accentuò quando, il 15 dicembre 1992, ricevette il primo degli avvisi di garanzia della Procura di Milano. Il sentimento anticraxiano esplose nel Paese: "fu un autentico contagio di massa, un meccanismo accusatorio" nel quale "non passava giorno senza che Craxi incontrasse per strada gente che gli gridava «Ladro!» mostrandogli i polsi incrociati. Nel corso del 1993, con la fine della legislatura e l'abolizione dell'autorizzazione a procedere, si fece sempre più vicina la prospettiva di un suo arresto. Il 12 maggio 1994 gli venne ritirato il passaporto per pericolo di fuga, ma era già troppo tardi perché Craxi, si seppe solo il 18, era già in Tunisia ad Hammamet, protetto dall'amico Ben Alì; Il 21 luglio 1995 Craxi sarà dichiarato ufficialmente latitante. La fuga all'estero del leader socialista fu percepita dall'opinione pubblica come un tentativo di sottrarsi all'esecuzione delle condanne penali inflittegli. Bettino Craxi morì, da latitante, il 19 gennaio del 2000 per un arresto cardiaco.

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  7. Vorrei segnalare un importante evento della storia dell’Italia Repubblicana, un evento che ha colpito profondamente e che ancora oggi ricordiamo: si tratta dell’attentato all’Onorevole Aldo Moro, leader della Democrazia Cristiana che voleva avvicinare il Pci al governo. Moro venne sequestrato (16 marzo 1978) e, successivamente ucciso (9 maggio) dalle Brigate Rosse (organizzazioni terroristiche di sinistra che auspicavano a una rivoluzione comunista in Italia). Venne rapito mentre si stava recando in Parlamento per partecipare al dibattito sulla fiducia del nuovo governo Andreotti costituito con l'appoggio e l'ingresso del PCI nella maggioranza programmatica e parlamentare, da Moro ampiamente favorito. Il sequestro durò 55 giorni e per tutta la sua durata, l’opinione pubblica italiana, europea e mondiale seguì col fiato sospeso quella tragedia. Le BR diedero vari ultimatum, pena la vita di Moro: queste chiedevano un riconoscimento politico del loro movimento e la liberazione dei brigatisti sotto processo a Torino; il PCI e la DC rifiutano ogni compromesso, il PSI è invece per la trattativa. Passano 53 giorni dal sequestro, vennero mobilitati politici di ogni paese, si chiese l’intervento del Papa Paolo VI e anche di Cosa Nostra, ma invano. Il 9 maggio il corpo di Aldo Moro venne trovato nel bagagliaio di una Renault rossa posta emblematicamente a metà strada tra Piazza del Gesù e via delle Botteghe Oscure.

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  8. Scrive Lorena Pernicano, classe 5 B:

    Nel suo commento Oriana ha mostrato come la nazione italiana si sia mostrata unita e compatta: studenti e operai di qualsiasi età, sesso, religione e orientamento politico scesero in campo per rivendicare i propri diritti. Purtroppo però, è necessario mostrare anche l’altra faccia della medaglia che mostra un profondissimo divario fra la parte settentrionale, in crescente sviluppo industriale, e quella meridionale, da sempre rurale e strettamente legata al settore primario. Nel quinquennio 1958 – 1963, cioè quello del “Boom economico”, l’Italia visse una straordinaria crescita economica (che la fece posizionale al 6° posto nella classifica mondiale) dovuto soprattutto all’intraprendenza degli imprenditori italiani, alla disponibilità di nuove fonti di energia ma soprattutto al basso costo della manodopera. La nascita e lo sviluppo di nuove industrie diedero l’input a numerose migrazioni dal sud dell’Italia verso il nord, che si mostrava come una sorta di Eldorado dove chiunque avrebbe potuto trovare un impiego. Queste migrazioni di massa, non sempre accompagnate da adeguato inserimento sociale, fecero nascere però dei contrasti, che talvolta sfociarono in “razzismo”, tra meridionali e settentrionali: tristemente celeberrime le immagini delle vetrine di alcuni negozi che sfoggiavano cartelli con su scritto “Qui i meridionali non possono entrare” o “Non si affitta ai meridionali”.
    Son passati decenni, ma quest’astio non si è del tutto placato, basti pensare al fatto che vi sono partiti politici che sostengono fermamente l’inferiorità del Meridione. Non ci resta che sperare che un giorno, ci auguriamo non molto lontano, quest’odio possa placarsi e lasciar posto al reciproco rispetto. Nel frattempo resta un’amara considerazione, ahimè, aveva proprio ragione Massimo D’Azeglio: “Purtroppo s'è fatta l'Italia, ma non ancora gl'Italiani!”

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