La situazione internazionale è molto tesa e tutti gli organismi diplomatici sono in fibrillazione nel timore di non farcela ad evitare un nuovo devastante conflitto mondiale.
Ecco i contesti caldi che rappresentano, ciascuno con i suoi motivi ed insieme per gli equilibri generali, i focolai della crisi.
Primo fronte, quello caldo dove si combatte con le armi, è l'Ucraina.
Putin ha reagito alla defenestrazione degli ucraini filorussi dal
governo e alla svolta 'a destra' di Kiev riprendendosi la Crimea (russa
dal Settecento e 'regalata' a Kiev da Kruscev) e aiutando i ribelli
filorussi in Ucraina orientale. Dopo anni in cui ha cercato di 'imporre'
l'influenza russa (la Rus' di Kiev è la culla della Russia per i
nazionalisti) attraverso i leader locali filorussi - sempre di volta in
volta caduti - si è probabilmente stufato degli intermediari e ha voluto
agire direttamente. In Crimea tutto facile, era già una repubblica
autonoma, gli ucraini pochi e le truppe di Mosca già presenti (è sede
della flotta russa del Mar Nero fin dai tempi sovietici). Più complicata
la situazione in Ucraina orientale, dove le province a maggioranza
russa si sono sollevate (con il sostegno di Mosca) ma Kiev ha reagito
militarmente.
Da anni Putin lavorava al ritorno della Russia nell'ex spazio
sovietico e il ruolo crescente della Russia come fornitore di energia
(gas e petrolio, che passano dall'Ucraina per andare in Europa) dei paesi europei (in particolare la Germania, ma non
solo) gli dava una forte arma negoziale nei confronti dell'Europa. Poi
forse contava sull'incertezza mostrata da Obama in politica estera, ora
con un Congresso pienamente controllato dai repubblicani. Probabilmente
sperava che finisse come con la guerra in Georgia
Ha sbagliato i conti. Gli Stati Uniti non gliela stanno facendo
passare liscia. Per la Casa Bianca ha superato il limite. Per Washington
è anche l'occasione per cercare di rompere l'asse energetico e politico di Eurussia.
Il secondo fronte: le sanzioni. La Nato è mobilitata
nell'impedire ulteriori trasgressioni russe e a tranquillizzare Polonia
e Baltici che temono l'espansionismo russo. L'arma usata da Washington
non è militare ma economica. In primo luogo le sanzioni economiche a cui
si sono dovuti allineare anche i riottosi europei che sarebbero pronti a
sacrificare l'Ucraina per l'energia russa ma non possono entrare così
apertamente in conflitto con gli Stati Uniti e gli europei orientali.
Cruciale è il ruolo della Merkel che in queste ore è in Russia con
Hollande per cercare una mediazione con Putin.
Il terzo fronte: il petrolio. Ma la vera arma
economica non sono le sanzioni. E' il prezzo del petrolio. Qui
interviene l'Arabia Saudita, che tenendo alta la produzione di greggio
ha provocato il crollo del prezzo da 100 a 50 dollari. Per Putin è un
colpo mortale. La crescita politica ed economica della Russia sotto la
sua leadership è stata possibile grazie all'alto prezzo del petrolio di
questi anni. La vendita di gas e petrolio è l'asset principale
dell'economia russa. Quanto reggerà la Russia in queste condizioni? Già
molti degli oligarchi diventati ricchi grazie a Putin lo stanno
abbandonando, anche se non apertamente: hanno spostato i capitali in
Svizzera e altri paradisi fiscali contribuendo alla crisi del rublo.
Con questa mossa Ryad (Arabia Saudita) ha preso tre piccioni con una fava. Ha colpito
la Russia Putin (che è un concorrente energetico ma anche nell'asia
centrale islamica) ha danneggiato l'arcinemico iraniano che si è
permesso di "aizzare' le minoranze sciite nel Golfo persico, e ha reso
meno conveniente usare le nuove tecniche di estrazione del greggio degli
Usa che stanno per rendere autosufficiente la potenza americana in
campo petrolifero. Qui il campo si complica. Gli Stati Uniti stanno
cercando il riavvicinamento con l'Iran e la mossa dell'alleato saudita
non aiuta in questo campo. Allo stesso tempo danneggia la produzione di
energia interna. Fino a quando Obama, presidente in uscita, resisterà
alle pressioni? Fino a quando gli interessi antirussi americani
prevarranno?
Tensione mondiale. Da non dimenticare
infatti il ruolo della Cina, che ne sta approfittando per ottenere dalla
Russia maggiori forniture energetiche. Della Turchia, che ha sostituito
l'Europa come sbocco del gasdotto ex southstream. Infine c'è la novità
della Grecia di Tsipras che messa alle strette dalla trojka europea
minaccia di mettere in discussione la settantennale scelta atlantica e di aiutare la Russia rompendo il fronte delle sanzioni europee.
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